Di Pierangelo Garzia
C’è una profonda ragione neuropsicologica per la quale ingannare e distrarre il cervello ci fa sentire meglio, o addirittura bene. Il farlo – attraverso ciò che ci piace, coltivando forme artistiche, praticando attività fisica, assistendo a spettacoli – è esperienza comune, è in grado di distoglierci e lenire il dolore fisico. Ancora più evidente la possibilità di ingannare il cervello, persino riguardo le sensazioni dolorose, attraverso le profonde e ramificate connessioni che il nostro sistema nervoso centrale e periferico intrattengono con le nostre mani. Che poi sono il principale strumento attraverso il quale interagiamo e agiamo sul mondo esterno. Con le quali conosciamo, trasmettiamo affetto, emozioni, ma pure sofferenza e dolore. Con le quali comunichiamo, persino quando non conosciamo una lingua.
Una recente ricerca, in cui compaiono due ricercatrici italiane (Angela Marotta ed Elisa Raffaella Ferrè dell’Institute of Cognitive Neuroscience, University College London, Londra), renderebbe forse ragione del perché incrociare le dita venga tradizionalmente considerato, in molte culture, benaugurante. Questo studio, in corso di pubblicazione su Current Biology, mostra che, incrociando le dita, inganniamo il cervello e la percezione del dolore, anche cronico, viene in taluni casi diminuita.
La ricerca si estende anche ad altre stimolazioni della mano, calde e fredde, e su come le percezioni della mano possano “interferire” con quelle dolorose del cervello. Se rammentiamo la rappresentazione dell’homunculus somatesensoriale, ricorderemo l’estensione dedicata alla mano nel nostro cervello. E, anche in base a questa ricerca, abbiamo ragioni per riflettere sul perché, quando una persona è affranta o dolorante, ci venga istintivo prenderle la mano, tenerla tra le nostre, e accarezzarla dolcemente.
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