domenica 31 gennaio 2016
Sempre stanchi e spossati? 5 suggerimenti per la quotidianità lavorativa
Di Giulia Roth
Le giornate s’accorciano, la nebbia la fa da padrone e spesso solo la pioggia riesce a scacciarla: i cambiamenti portati dall’autunno possono ripercuotersi nella quotidianità lavorativa sull’umore e sul dinamismo. Vi diamo cinque suggerimenti su come sopportare questi cambiamenti nella quotidianità lavorativa.
Fate un pieno di luce e ossigeno
Godetevi l’aria fresca andando a lavorare a piedi o scendendo dall’autobus due fermate prima e camminando per l’ultimo tratto. Fate un “pieno” di luce facendo una passeggiata durante la pausa di mezzogiorno.
Alimentatevi in modo equilibrato
Fate attenzione ad alimentarvi in modo equilibrato, ricco di vitamine e sostanze nutritive. A mezzogiorno, il cibo non dovrebbe essere troppo pesante, affinché nel pomeriggio possiate nuovamente concentrarvi sul lavoro.
Fate attività fisica
Anche se con questo tempo ci vuole ancor più forza di volontà: fate dello sport e date slancio alla vostra circolazione. Con un abbigliamento funzionale, riflettori e lampada frontale, nonostante ogni tempo e persino l’oscurità. Il nostro suggerimento: utilizzate la pausa di mezzogiorno per l’attività sportiva. Riceverete una porzione extra di luce e ossigeno, e vi godrete il doppio la fine del lavoro.
Interessante per voi: 11 suggerimenti per lo sport nell’inverno
Tenete un ritmo costante
Durante la settimana lavorativa, cercate di mantenere costante il vostro ritmo giorno-notte. Provate ad andare a letto e a risvegliarvi tutti i giorni alla stessa ora. Perseverate con questo ritmo anche nel fine settimana e godetevi le tranquille ore del mattino con un giro al mercato o una passeggiata.
Approfittate di ore di tranquillità
Giovatevi dei vantaggi del brutto tempo: la sera a casa, mettetevi comodi sul divano, senza sensi di colpa, leggete un libro, cucinate o datevi la bricolage… secondo i vostri gusti!
FONTE:https://blog.css.ch/it/salute/lavoro/sempre-stanchi-e-spossati-5-suggerimenti-per-la-quotidianita-lavorativa/
Vademecum anti bullismo, i 3 consigli per aiutare i ragazzi
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/Vademecum-anti-bullismo-i-3-consigli-per-aiutarli/
Da un lato ci sono i bulli e i cyberbulli, raddoppiati negli ultimi due anni, denuncia il Telefono Azzurro. Dall'altra ci sono le vittime, che non ne parlano in famiglia né a scuola e cercano di risolvere (spesso invano) la situazione da soli, spiegano i medici. Insomma, da dove la si prende, la situazione del bullismo tra gli adolescenti italiani fa riflettere. Di qui l'idea di un Vademecum elaborato dalla Società Italiana Pediatria, Polizia di Stato e Facebook, rivolto non solo ai ragazzi ma anche (e soprattutto) ai genitori per aiutare ad affrontare il disagio.
I consigli degli esperti - Il primo consiglio della lista è l'invito a parlare con i figli; il secondo è creare un circuito di informazione coinvolgendo la scuola e i pediatri. Il terzo tenere sempre a mente che l'unica arma è la prevenzione. I ragazzi vittime di bullismo e i bulli hanno delle caratteristiche comuni, come scarsa integrazione nell'ambiente scolastico e tendenza all'isolamento, che devono essere 'campanelli di allarme' da non trascurare. Sottolinea invece Pietro Ferrara, dell'Istituto di Clinica pediatrica dell'Università Cattolica e referente nazionale per maltrattamento e abuso della Società italiana di pediatria (Sip). Ecco alcuni fattori che possono portare a diventare vittime di bullismo secondo l'esperto. "Caratteristiche fisiche, come quella di non essere considerati alla moda o non appariscenti, non belli, orientamenti sessuali non condivisi, la timidezza, e la disabilità".
Pericolo anche dal cyber bullismo - "Intercettare e riconoscere i primi segnali di disagio di un adolescente che potrebbe essere vittima di cyber bullismo e bullismo è la prima regola da osservare", spiega Giovanni Corsello presidente della Società italiana pediatria (Sip) riferendosi al gesto della dodicenne che si è gettata da una finestra perché vittima di atti di bullismo. Secondo Corsello i primi campanelli di allarme che devono indurre un genitore ad intervenire sono "i cambiamenti di abitudini dell'adolescente, dall'isolamento, all'insonnia ma anche il rifiuto del cibo.
L'ARCHETIPO DEL PUER AETERNUS SECONDO JUNG E HILLMAN
Di Marco Del Rey
Il Puer (Puer Aeternus) è una figura archetipica affascinante, che U.Galimberti così tratteggia: “Espressione introdotta da C.G.Jung per indicare un termine di una coppia archetipica attiva nella psiche che ha il suo opposto nel Senex.
L’”eterno fanciullo” presenta una psicologia che sul versante nevrotico è caratterizzata dalla difficoltà a staccarsi dalla matrice originaria, dalla problematicità a trovare una collocazione stabile, da impazienza, vivacità immaginativa che non oltrepassa la soglia della continua ideazione e il desiderio di ricominciare sempre da capo su versanti più diversi, mentre sul piano individuativo assume il valore positivo della disponibilità e capacità a rinnovarsi.” (Galimberti, 1992).
Se affrancato dai suoi aspetti di inconsistenza e labilità, di inconcludenza e di vacuità, il Puer può dunque corrispondere all’anelito vitale dell’esistenza, a quel tratto mercuriale dell’andare, del cercare nuove vie e nuove soluzioni, del non fermarsi mai, del rinnovarsi di continuo, del non soggiacere a quella che Hermann Hesse, da Puer qual’era, chiamava la “consuetudine inceppante”. Importante, forse fondamentale nel processo di individuazione, questo Archetipo rappresenta uno degli elementi più dinamici della psiche, dato che quando per il Puer ‘qualcosa’ finisce è soltanto per dare corso a un nuovo inizio, e il suo sguardo è sempre rivolto a est, verso l’aurora.
Jung, accanto ai limiti (peraltro, come vedremo, anche piuttosto evidenti) di questo archetipo, ne sottolinea le infinite risorse e le grandi potenzialità, affermando che, “[…] il fanciullo da una parte è insignificante, sconosciuto, soltanto un fanciullo, dall’altra parte è invece divino.” (Jung, 1940) E aggiunge: “[…] considerato dal punto di vista della coscienza [...]” può essere visto come “[...] un contenuto apparentemente irrilevante, che non si supporrebbe capace di offrire soluzione o addirittura redenzione.” (Jung, ib.). Ma quando si passa dalla unilateralità della coscienza egoica alla dimensione simbolica, allora questo archetipo emerge dall’inconscio in tutta la sua potenza unificatrice: “Il fanciullo esce dal grembo dell’inconscio come sua creatura, generata dal fondo stesso della natura umana, o meglio della natura vivente in generale.” (ib.), con quella ‘forza superiore’ con cui può riuscire “[…] a farsi valere a onta di ogni minaccia e pericolo.” (ib.). E continua, Jung, ricordando che il Puer “[…] personifica forze vitali al di là dei limiti della coscienza, vie e possibilità di cui la coscienza, nella sua unilateralità, non ha sentore[…]” e “[…] rappresenta l’impulso più forte e più irresistibile di ogni essere: l’impulso alla autorealizzazione.” (ib.)
Il Puer è anche figura della nostalgia; nostalgia che Jung spiega come difficoltà a separarsi dalla madre, e che contiene in sé una inconscia aspirazione a tornare in uno stato di incoscienza. E’ anche colui che, pur tendendo a evolvere verso l’autonomia, tuttavia non la conquista mai completamente. E’ […] “simbolo del desiderio, dell’anelito insaziabile che mai trova il suo oggetto, della nostalgia per la madre perduta.” (Romano, 1996). Continua Romano: “Non appena presa la rincorsa si ferma: il segreto ricordo che mondo e felicità possono anche essere ricevuti in dono, e dalla madre, paralizza il suo slancio e la sua perseveranza.”(ib.). Allora il Puer non può che apparire anche come una figura inconsistente e inconcludente, fragile e perennemente incompiuta, con un Io non strutturato, mai pienamente nel mondo, “[…] consegnato inerme a ultrapotenti nemici[…]” e “[…] minacciato da un continuo pericolo di annientamento.”(Jung, 1940).
Già da questi pochi tratti possiamo cogliere tanto le grandi potenzialità quanto la grande fragilità di questo archetipo, e inoltre la sua intrinseca dualità e la sua particolare inclinazione verso la polarità. Da un lato ne cogliamo il continuo divenire e la ricerca inesausta, la curiosità e l’attrazione per il nuovo, l’’eternamente giovane’; dall’altro l’incompiutezza e l’inconsistenza, l’eterna insoddisfazione e la difficoltà ad adattarsi. L’incapacità di entrare nel tempo e di invecchiare e il rimanere figlio e non farsi padre; e una sessualità che “ […] da potente fuori dalla relazione si fa impotente nella relazione.” (Romano. Op. cit.). Così finiamo con l’identificare con l’Archetipo del Puer l’uomo che rimane troppo a lungo nei limiti di una psicologia adolescenziale, e che cerca in ogni donna una figura di madre; […] l’immagine della donna assolutamente perfetta, pronta a concedere tutto all’uomo…una dea madre.” (Von Franz, op. cit.). Salvo poi scoprire, dopo non molto, o periodicamente nel tempo, che quella donna è un essere umano come tutti, un essere ‘normale’: allora si sentirà deluso e proietterà su un’altra donna la stessa immagine divina.
Così M .L. Von Franz nella sua descrizione, tendenzialmente negativa, del Puer : “Il Puer, di solito fatica ad adattarsi alle situazioni sociali. In certi casi manifesta una sorta di individualismo asociale: sentendosi una creatura speciale, ritiene di non doversi adattare, perché questo sarebbe chiedere troppo a un genio nascosto quale è lui. L’atteggiamento arrogante che ne consegue, si basa sia su falsi sentimenti di superiorità sia su di un complesso di inferiorità.” (Von Franz, op.cit.).
Infatti, c’è sempre qualcosa che manca, qualcosa che non va, per il nostro Puer; anche la donna non è mai quella giusta, così come il lavoro, la casa e, in fondo, la vita. Vive una ‘vita provvisoria’, e ha difficoltà a essere nel presente; c’è sempre un futuro migliore che lo aspetta, e per poterlo realizzare non può legarsi stabilmente a niente e a nessuno; deve mantenersi libero e pronto. Nessun legame dunque, nessun peso da portare; leggerezza per poter ascendere il più in alto possibile, lontano dalla banalità della terra e dalla vita normale. Non è un caso, infatti, che tra gli sport preferiti dal Puer ci siano il volo e l’alpinismo, e che, in genere, il Puer non ami quegli sport che richiedono pazienza, attesa o lungo allenamento.
Tuttavia, come ho anticipato, il Puer non è affatto privo di positività. “La qualità positiva di simili giovani -scrive ancora Von Franz- si esprime in una sorta di spiritualità, determinata da un contatto relativamente stretto con l’inconscio collettivo. Il Puer Aeternus è di solito un interlocutore assai piacevole, i suoi argomenti sono spesso interessanti ed entusiasmano l’ascoltatore. Non ama le situazioni convenzionali; pone domande profonde e mira dritto alla verità, […] e il fascino giovanile del Puer Aeternus si protrae in genere negli stadi successivi della vita.” (ib.).
Nel campo lavorativo, quando il lavoro lo coinvolge, lo affascina, o lo entusiasma, è capace di lavorare a lungo senza stancarsi; è portatore di idee nuove e di nuove soluzioni, è attivo e creativo. Ma guai se il lavoro è per lui noioso e ripetitivo, o se è necessario un surplus di impegno: in quel caso, prima di fuggire, tende sovente a esprimere il suo lato depresso e insoddisfatto, apparentemente distaccato.
Come si vede, l’archetipo Puer non sfugge al suo carattere di dualità; e a una prima osservazione sembrerebbe essere esentato, quantomeno sul piano teoretico, da una netta suddivisione in poli. Infatti il Puer non sembrerebbe “buono o cattivo”, “attivo o passivo”, oppure, più in generale, “positivo o negativo”, ma essere nel contempo una cosa e un’altra, contenere in sé una duplicità; essere, con la bella metafora di Jung: “[...] contemporaneamente la luminosa innocenza degli inizi e la gelata che improvvisamente distrugge quei germogli […] un essere dell’inizio, ma anche un essere della fine.” (Jung, op. cit.)
Ma questo suo ’essere ‘duale’, però, non può non contenere in sé la possibilità di essere anche “polare”. J. Hillman ci ricorda che “[...] la psicologia analitica intesa come campo strutturato del sapere poggia la sua struttura su una serie di descrizioni polari”. (Hillman, 1964/67) Vale aggiungere, per parte nostra, che la psiche è suddivisa in coscienza e inconscio, fra i quali vi è tensione e compensazione; e che essa, dal punto di vista dell’energia psichica, fluisce tra due polarità, caratterizzate a loro volta da coppie di opposti (ad es.:progressione/regressione) . Anche nella descrizione dei “tipi” è evidente la polarità fra introversione ed estroversione, così come per le quattro funzioni psicologiche, che sono descritte per coppie contrapposte. Gli scritti di Jung contengono temi ricorrenti espressi per antitesi: logos ed eros, razionale ed irrazionale, individuale e collettivo e, tema centrale, maschile e femminile (Animus/Anima), e così via.
Per Hillman, (suo il volumetto “Puer Aeternus” [J. Hillman, ed. it. 1999] il cui titolo originale, “Senex and Puer” mi sembra più appropriato al contenuto) l’archetipo in sé è ambivalente e paradossale, abbraccia spirito e natura, psiche e materia, coscienza e inconscietà; in esso sì e no sono un unica cosa. Non c’è né giorno né notte, semmai un albeggiare continuo. Tuttavia, la ‘dualità’ dell’archetipo si rivela anche una ‘polarità in potenza’, un’opposizione implicita nell’archetipo stesso, il quale tende a scindersi in due poli quando entra nella coscienza egoica. Secondo Hillman, infatti, l’emergere dell’archetipo alla coscienza produrrebbe nello stesso una “polarità” e una “scissione”. L’Io, illuminandone una parte, renderebbe più oscura l’altra, e quel persistente albeggiare di cui si è detto più sopra si trasformerebbe in una separazione tra giorno e notte, tra luce e tenebra.
Anche in quel caso, come in tutti i casi in cui esso sostituisce l’anima come centro della personalità conscia, “[…] l’Io finisce con il rivelarsi incapace di reggere la tensione fra gli opposti ed è costretto a creare disgiunzioni e separazioni” (Hillman. op. cit.). L’archetipo allora non si manifesta più soltanto nella sua funzione di unificatore degli opposti, in sintonia con l’anima, o di mediatore fra le basi inconsce e la coscienza, ma tende esso stesso a polarizzarsi e divenire contenitore di opposti, che rischiano di essere in sterile tensione fra loro. Una conseguenza di questa polarità è che, pur essendo entrambi i poli dell’archetipo necessari alla sua totalità, e in qualche modo equivalenti come ‘potenza’, diventa difficile evitare di connotarne positivamente l’uno e negativamente l’altro, tanto più se ci si mette di mezzo l’Io.
Così come una montagna ha un versante a sud, esposto al sole, e un versante a nord in ombra, altrettanto al Puer si finisce con l’attribuire un lato luminoso e un lato oscuro. Allo stesso modo è quasi inevitabile considerare ‘positivo’ e ‘fecondo’ il lato luminoso, che corrisponde alle qualità e alle potenzialità, e ‘negativo’ e ‘sterile’ quel lato oscuro che corrisponde ai difetti e ai limiti. Tuttavia, questo non vuol dire che dobbiamo pensare che esistano due specie distinte e differenti di Puer, i “[…] Puer ‘positivi’ che ispirano lo sbocciare delle cose, e i Puer ‘negativi’, caratterizzati essenzialmente dalla auto distruttività” (Romano, op. cit.), ma che dobbiamo accettare la tensione fra questi due “poli”, entrambi parte dello stesso archetipo.
Nonostante questo suggerimento alla prudenza, di fronte al Puer è tuttavia piuttosto difficile sottrarsi a una osservazione generale che non sia gravata da un giudizio tendenzialmente negativo sul “[…]giovinetto di belle speranze […], come lo chiama Romano, che non ce l’ ha fatta ad affrancarsi; “[…] il figlio viziato a cui tutto riesce facile ma che non lascia testimonianza di sé.” (ib.). E sebbene lo stesso Jung, nel tratteggiare il carattere dell’archetipo Puer ne affermi tutta la “potenzialità”: “Il fanciullo è avvenire in potenza […]”, scrive; “[...] il fanciullo preannunci(a) un mutamento della personalità [...]anticipa il processo di individuazione […]”, è “[...] simbolo unificatore degli opposti, un mediatore, un salvatore [...]” (Jung, op.cit.), a ben vedere, anche per lui, prima che per gli altri, tutta questa potenzialità non sembra mai esitare in un’azione concretamente produttiva, in un reale, fattivo cambiamento, in una vera crescita.
Il Puer in fondo rimane un progetto, un’ipotesi che non vede mai il suo svolgersi compiuto, che, sì evolve verso l’autonomia, ma senza mai raggiungerla. Un figlio, appunto, che richiederebbe costante cura, attenzione, educazione; un “[…]simbolo del desiderio, dell’anelito insaziabile che mai trova il suo oggetto, della nostalgia della madre perduta” (Romano. Op. cit.); che “[…] non appena presa la rincorsa, si ferma […], un figlio che non si è liberato della madre e che perciò stenta a entrare nel mondo […] (ib.); e anche nel tempo e nello spazio, intrappolato com’è in quell’abbraccio confortante ma allo stesso tempo soffocante e mortale. E’il figlio della Grande Madre, che appena si allontana dal suo grembo cade preda della nostalgia e tende a farvi ritorno, per poi di nuovo allontanarsene, senza mai smettere di volgersi nuovamente e nostalgicamente indietro, in un processo che non ha mai fine.
Rispetto a questa visione tendenzialmente negativa del Puer, centrata sul rapporto con la Madre , Hillman posa su questo archetipo uno sguardo molto più benevolo e sposta il centro delle sue riflessioni verso le funzioni positive proprie di questo archetipo. Inoltre tralascia in parte di affrontare il tema del rapporto con la Madre , caro ad altri autori, per concentrarsi di più sul rapporto dialettico e di compensazione e integrazione con il Senex/Padre. “Il concetto di Puer aeternus - scrive Hillman - si riferisce a quella dominante archetipica che personifica le potenze spirituali trascendenti dell’inconscio collettivo o è con esse in una relazione speciale. Le figure puer possono essere viste come manifestazioni dell’aspetto spirituale del Sé e gli impulsi puer come messaggi dello spirito o chiamate dello spirito.”(Hillman, op.cit.). Continua l’autore: “Lo spirito eterno è autosufficiente e contiene tutte le possibilità. Mentre il Senex si perfeziona attraverso il tempo, il Puer è perfetto primordialmente.” (Ib.) E aggiunge ancora: “[...] la figura del Puer è la visione della nostra natura prima, la nostra primordiale Ombra d’oro, la nostra affinità con la bellezza, la nostra essenza angelica come messaggera del divino, come messaggio divino” (ib.), perché “[...] Il Puer offre un contatto diretto con lo spirito [...] non è destinato a camminare, ma a volare.” (ib.)
Come si vede, per Hillman il Puer parrebbe, per così dire ‘autoperfetto’ in sé ed avere anche un compito superiore da svolgere. Eppure, anche per il nostro autore, in fondo, il Puer non riesce a sfuggire totalmente ai suoi limiti intrinseci, al suo lato negativo. Essendo un ‘essere degli inizi’, non può evitare infatti a debolezza e impotenza proprie degli inizi; inoltre la unilateralità della sua azione verticale, la tendenza al volo e alla caduta, lo rendono debole sulla terra, perché “[...] il Puer non appartiene alla terra […]” e “[...] il mondo orizzontale, il continuum spazio-tempo che noi chiamiamo realtà non è il suo mondo.” (ib.). La velocità e la fretta gli fanno perdere il tempo presente; non conosce né l’attesa né la pazienza e di fronte alle difficoltà tende a rinunciare facilmente. Scrive ancora Hillman: “Comprende poco dice ciò che si acquista con la ripetizione e la coerenza, vale a dire con il lavoro; non comprende il movimento avanti e indietro, da destra a sinistra, dentro e fuori, che favorisce la sagacia nel procedere passo-passo attraverso la labirintica complessità del mondo orizzontale.” (ib.). Inoltre quello che egli definisce come “il necessario rapporto” del Puer con lo Spirito viene ostacolato dal complesso materno, che può paralizzare e soffocare il Puer archetipico. E’ il rapporto con la madre, la Grande Madre castrante e incestuosa, che lo intrappola e lo tiene legato con un filo apparentemente invisibile ma resistentissimo, che gli impedisce di staccarsi da lei e di consegnarsi al mondo.
Insomma, a onta di tutte le sue qualità e potenzialità, anche per Hillman quando il Puer va da solo, pur volendo andare dappertutto non va da nessuna parte e cade preda del suo lato “negativo”.
Come può allora entrare nel mondo e nel tempo ed esprimere tutte le sue potenzialità? Secondo Hillman, perché ciò possa realizzarsi il Puer ha bisogno dell’incontro con il Senex, che è principio dell’ordine, della temporalità, del limite e del confine. Ma, sia chiaro, anche il Senex ha bisogno dell’incontro con il Puer, che è principio del movimento, dell’ascesa e della proiezione oltre il limite. Come il Puer, anche il Senex è duale e tende alla polarità e se viene, per così dire ‘lasciato solo’ dal Puer finisce inevitabilmente con il soggiacere al dominio del suo lato negativo. Ecco così che possiamo intravedere le premesse del concetto ‘hillmaniano’ di “Archetipo bifronte”: Puer e Senex non possono andare da soli, ma devono sostenersi a vicenda all’interno di un archetipo composito, il “Puer et Senex”.
Soffermandoci per un momento sul Senex, vale ricordare che anch’esso è duplice, e che nella sua duplicità/polarità - costitutiva anche del Puer - questo archetipo è sì freddo, lento e pesante, ma va detto che, nel contempo, questa pesantezza gli fornisce anche densità e stabilità; la sua lentezza è certo tristezza e melanconia, ma anche quiete e riflessione; è la notte che annuncia il giorno. Come il Puer è sessualmente potente (ma ricordiamo che lo è tendenzialmente fuori dalla relazione amorosa), così il Senex è arido e impotente; ma poiché appartiene a Saturno è contemporaneamente anche dio della terra e della fertilità; è colui che raccoglie i frutti, ma che anche ne fa anche incetta; che tende a conservare le cose, ma sovente soltanto per sé; e tende a farle durare per sempre. E’ vero che batte moneta ed è signore della ricchezza, ma è anche avaro e rapace; e poiché è divoratore di ogni cosa nuova, di ogni cosa che nasce è anche, alla fine, sterile. Moralmente è altrettanto bifronte: è onesto e leale, ma anche egoista, crudele ed astuto. E’ il Vecchio Saggio buono e comprensivo che capisce e sostiene e dà buoni consigli, ma anche il Vecchio Re, freddo, crudele e vendicativo che intimorisce ed annichilisce. E’ Padre Buono e Padre Cattivo. Anche il Senex, così il Puer, se separato dall’altra metà dell’archetipo bifronte, vede scomparire ogni possibilità di luce e cade preda del suo lato negativo; può scivolare nel buio della depressione e della malinconia e diventare totalmente sterile e impotente, pesante ed immobile.
Entrambi gli archetipi hanno dunque bisogno l’uno dell’altro per non finire preda dei propri aspetti negativi; e quando questo accade, (e cioè quando cadono preda dei rispettivi aspetti negativi) essi allora non si scoprono più soltanto diversi e polari ma anche ‘uguali’, e si manifesta fra loro una parziale identità, una sorta di identificazione al negativo. Se il Senex non vuol cambiare, il Puer è incapace di cambiare; se il Senex è sordo, il Puer non vuol sentire; entrambi sono capaci di mentire e possono essere freddi e aridi. In modo diverso, sia l’uno che l’altro sono sterili, entrambi chiusi in sé stessi, poiché l’uno, il Senex, si isola e l’altro, il Puer, come dice Romano: “[…] non fa volentieri amicizia.” (Romano, op.cit.). Entrambi sono reietti e vicini alla morte: il Puer, nel suo lato negativo è suicida e il Senex autodistruttivo. Entrambi evidenziano, anche se in forme diverse, l’assenza del femminile.
Ciascuno dei due senza l’altro sembrerebbe perduto: il Puer, preda della sua inconsistenza e della sua inconcludenza, non si liberererebbe mai dalla Madre e non realizzerebbe mai compiutamente l’incontro con il Padre-Senex-Spirito; il Senex, per parte sua, si inaridirebbe e, sterile e freddo, coverebbe rimpianti e rancori, scivolando nell’inerzia. Ciascuno dei due archetipi esprimerebbe, se così si può dire ‘il peggio di sé’.
Essi sembrano dunque necessari l’uno all’altro. Ma il loro essere reciprocamente ‘necessari’ non significa che siano soltanto, come siamo abituati a pensare, semplicemente l’uno l’Ombra dell’altro, ma qualcosa di più: “[...] una segreta identità tra due metà, due metà non della vita, ma di un unico archetipo […]” (Hillman, op.cit.); ciascuno, dunque, una parte dell’archetipo bifronte “Puer et Senex”.
Per questa ragione la scissione e la mancata ricomposizione/integrazione delle due polarità all’interno di questo archetipo composito (o bifronte) sarebbero all’origine dell’annichilimento delle potenzialità positive insite in entrambi i singoli archetipi Puer e Senex, e del conseguente predominio dei loro rispettivi aspetti negativi. Il Puer ha dunque bisogno del Senex per non cadere nell’inconsistenza e nell’inconcludenza, e il Senex ha bisogno del Puer per non insterilirsi e per non fermarsi irrimediabilmente. Il figlio ha bisogno del padre e il padre del figlio, il discepolo del maestro e il maestro del discepolo. Il Puer senza il Senex fatica a entrare nella storia; il Senex ha bisogno del Puer per non essere soltanto storia.
Nella visione di Hillman la congiunzione feconda delle polarità scisse dell’archetipo Puer/Senex permetterebbe di esperire tutte le potenzialità positive di entrambi i singoli archetipi e di superare, nel contempo, le loro reciproche, intrinseche contraddizioni.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.arpajung.it/sorgenti/Puer_Aeternus.htm
sabato 30 gennaio 2016
IL POTERE DELLA CONSAPEVOLEZZA
La “Luce” è coscienza. La coscienza è una, che si manifesta in moltitudini di forme o livelli di coscienza. Non c’è nessuno che non sia tutto ciò che è, perché la coscienza, anche se espressa in un’infinita serie di livelli, non fa divisioni. Non c’è una reale separazione o un vuoto nella coscienza.
L’IO SONO non può essere diviso. Io posso concepire me stesso come un uomo ricco, un uomo povero, un mendicante o un ladro, ma il centro del mio essere rimane lo stesso a prescindere dalla concezione che ho di me stesso. Al centro della manifestazione c’è solo un IO SONO che si manifesta in moltitudini di forme o concezioni di sé stesso e “IO SONO QUELL’IO SONO” IO SONO è la auto-definizione dell’assoluto, il fondamento su cui poggia tutto.
IO SONO è la sostanza causativa primaria. IO SONO è la autodefinizione di Dio. IO SONO mi ha spedito a te. [Esodo 3:14]
IO SONO QUELL’IO SONO. [Esodo 3:14]
Sii fermo e sappi che IO SONO Dio. [I salmi 46:10]
IO SONO è un sentimento di consapevolezza permanente. Il centro vero e proprio della coscienza è il sentimento dell’IO SONO. Posso dimenticare chi sono, dove sono, cosa sono, ma non posso dimenticare che IO SONO. La consapevolezza di essere rimane, nonostante il grado di dimenticanza di chi, dove e cosa io posso essere. …
L'Effetto Lucifero: le teorie di Philip Zimbardo, l'esperimento di Standford e Abu Ghraib
Nell'agosto 1971 lo psicologo sociale Philip Zimbardo condusse un esperimento presso la Stanford University, il cui esito ancora oggi lascia atterriti per via di ciò che rivelò sul lato oscuro della natura umana. Nel libro L'Effetto Lucifero: Quando i Buoni Diventano Cattivi (edizioni Random House), Zimbardo rievoca nel dettaglio i giorni dello Stanford Prison Experiment.
La storia narra di come un allegro gruppetto di ragazzi della classe media si sia trasformata in una banda di sadici aguzzini nel corso di un esperimento psico-sociologico. La mutazione fu talmente radicale che l'esperimento dovette essere interrotto prematuramente a causa della pericolosa deriva in cui stava rapidamente scivolando.
La storia narra di come un allegro gruppetto di ragazzi della classe media si sia trasformata in una banda di sadici aguzzini nel corso di un esperimento psico-sociologico. La mutazione fu talmente radicale che l'esperimento dovette essere interrotto prematuramente a causa della pericolosa deriva in cui stava rapidamente scivolando.
Gli Orrori di Abu Ghraib.
Nel 2004 Zimbardo prestò servizio come perito della difesa in un'udienza del processo contro i carcerieri del centro di detenzione iracheno di Abu Ghraib. Tutti noi nel maggio 2004 abbiamo visto le foto di giovani militari americani che esercitavano forme inimmaginabili di tortura sui civili che avrebbero dovuto sorvegliare. Gli abusi furono documentati da molte foto scattate dai militari stessi nel corso delle torture. Le immagini mostrano punzonature, schiaffi e calci ai detenuti; scene in cui sono calpestati e tenuti nudi e incappucciati, in cui i maschi sono obbligati a simulare atti erotici o trascinati con un guinzaglio attaccato al collo, oppure terrorizzati dal contatto con cani da attacco privi di museruola.
Nel suo libro il dott. Zimbardo fornisce una dettagliata analisi degli sconcertanti eventi di Abu Ghraib ricavata dagli elementi risultanti dai rapporti investigativi, da una serie di interviste raccolte personalmente, e da centinaia di foto mai pubblicate.
Nel suo libro il dott. Zimbardo fornisce una dettagliata analisi degli sconcertanti eventi di Abu Ghraib ricavata dagli elementi risultanti dai rapporti investigativi, da una serie di interviste raccolte personalmente, e da centinaia di foto mai pubblicate.
Ecco come Zimbardo ha parlato durante l'udienza.
"Gli eventi di Abu Ghraib mi hanno scioccato, ma non mi hanno sorpreso. I media e la gente di ogni parte del mondo si sono chiesti come sia potuto accadere che un gruppo di soldati selezionati, di entrambe i sessi, avessero potuto compiere azioni di siffatta malvagità. I vertici militari si sono affrettati a bollarli come 'canaglie' e 'mele marce.' Da parte mia invece mi sono subito chiesto che tipo di situazioni in quel blocco avessero condotto quei soldati a compiere azioni così degeneri.
La ragione per cui le immagini e le storie degli abusi di Abu Ghraib non mi hanno sorpreso, è che 30 anni fa assistei a scene molto simili nel corso di un esperimento che condussi personalmente presso la Stanford University: prigionieri denudati, incatenati, incappucciati, calpestati, umiliati e ridotti in uno stato di stress estremo. Alcune immagini del mio esperimento sono praticamente intercambiabili con le foto della prigione irachena."
L'Effetto Lucifero.
Il titolo del libro: L'Effetto Lucifero, si riferisce al processo di trasformazione dal bene al male che il mito attribuisce all'angelo più luminoso e prediletto da Dio. L'analogia fornisce lo spunto per dibattere delle trasformazioni umane dal bene al male. L'argomento intorno a cui ruota l'intero testo di Zimbardo è che il comportamento umano non sia solo il frutto della natura dell'individuo, ma anche dell'influenza di una serie di 'fattori situazionali e sistemici' che modellano il modo di agire individuale, a volte in manieradrastica. Il sociologo invita a prenderli seriamente in considerazione affinché gli individui appartenenti a qualsiasi gruppo, o detentori di qualsiasi tipo di potere, che vivano in una cultura imperfetta come la nostra, possano prendere le dovute precauzioni contro tali invisibili, ma spesso nefaste influenze 'oggettive.' Il libro è una sorta di accorata esortazione a tenere sotto stretto controllo oltre che se stessi e le proprie pulsioni, anche le leadership di ogni organizzazione, dagli stati, alle multinazionali, alle lobby politiche e religiose.
Le tre sfere di influenza considerate da Zimbardo sono: persona, situazione, e sistema.
Persona.
L'individuo agisce in funzione delle personali ambizioni e motivazioni, spesso dettate dalla cultura e dalla casualità. Quanto più immorale è la cultura in cui la persona si trovi ad agire, maggiori sono le possibilità che in presenza di talune circostanze situazionali e sistemiche essa agisca immoralmente. Una delle situazioni più comuni capaci di innescare l'Effetto Lucifero èl'esercizio del potere. Il potere per affermare se stesso deve sottomettere, con le buone o con le cattive. Scegliere la strada del potere significa scegliere di agire in accordo a una serie di imperativi e logiche auto-conservative che spesso comportano ilsacrificio della persona sull'altare del ruolo, determinando la scissione tra coscienza e individuo.
Situazione.
Tali imperativi e logiche sono definiti da Zimbardo: situazioni. Le situazioni non influenzano solo il potere. Un cittadino oppresso da una situazione economica precaria si comporta in modo diverso da un cittadino benestante. Un cittadino socialmente integrato agisce in modo diverso da un cittadino emarginato. Un cittadino felice è diverso da un cittadino disperato. Un cittadino che goda della facoltà di esercitare una forma di potere sul proprio prossimo agisce in modo diverso da uno costretto a subire il potere altrui.
Secondo Zimbardo le forze situazionali governerebbero ogni apparato egregorico in cui si riduca la responsabilità del singolo.Quando le persone si sentono al servizio di qualcosa di 'più grande' che le include, sono indotte facilmente ad assumere comportamenti antisociali.
I soggetti che si sentono appartenenti ad un gruppo di potere - ad esempio un contingente militare o di polizia, una multinazionale,un'ideologia, una lobby - secondo Zimbardo vivono in un eterno presente in cui passato e futuro sono percepiti come elementi remoti e irrilevanti. Le emozioni dominano la ragione, e le azioni la riflessione.
Sistema.
Ogni fattore situazionale è prodotto dal sistema in cui prende forma. Per poter funzionare, un sistema basato sul debito deveprodurre cittadini e nazioni indebitati; è fisiologico. Un sistema basato sul liberismo darwinista, sul centralismo, il verticismo e la disparità non può che generare situazioni di frizione ed emarginazione. L'apparato di potere avendo accesso al quadro di comando del sistema, se non adeguatamente sorvegliato tenderà a modellarne la struttura in funzione della propria auto-tutela e contro l'interesse generale. La principale forma di auto-tutela del potere consiste nella creazione di strumenti tramite cui consolidare e accrescere la distanza tra il potere e il non potere. Un sistema in cui la sopravvivenza della persona umana non fosse subordinata al possesso di denaro - ad esempio - priverebbe il potere di un formidabile strumento di controllo, repressione e manipolazione; un sistema basato sul diritto naturale piuttosto che sul diritto positivo, sull'esperienza piuttosto che la cultura, la reputazionepiuttosto che la propaganda, lo spirito piuttosto che la materia, complicherebbe in misura notevole il compito autoconservativo del potere. In altre parole, il potere è tale in virtù degli strumenti che gli sono forniti dal sistema in cui è esercitato.
Lo Stanford Prison Experiment.
Quando era ancora uno studente di psicologia sociale Zimbardo fu colpito dalle idee dello studioso francese Gustave Le Bon; in particolare quella della de-individualizzazione per cui i soggetti appartenenti a un gruppo coeso tendano facilmente a smarrire l'identità personale, la coscienza, la responsabilità, e a sviluppare di conseguenza impulsi antisociali. Nell'estate del 1971 Zimbardo decise di dimostrare la teoria attraverso un esperimento che condusse nel seminterrato dell'Istituto di psicologia dell'Università di Stanford, Palo Alto, dove fu riprodotto fin nei minimi dettagli un ambiente carcerario.
Fra i 75 studenti universitari che risposero all'annuncio gli sperimentatori ne scelsero 24, maschi di ceto medio, fra i più equilibrati, maturi e meno soggetti a comportamenti devianti; i soggetti selezionati furono poi assegnati casualmente al gruppo dei detenuti o a quello delle guardie.
I prigionieri indossarono delle divise su cui erano stati applicati dei numeri identificativi, dei berretti di plastica, e fu loro posta una catena alla caviglia. Dopodiché fu loro comunicato un insieme di rigide regole a cui erano tenuti ad attenersi. Le guardie indossarono uniformi color kaki, occhiali da sole riflettenti che impedivano ai prigionieri di guardarle negli occhi; erano dotate di manganello, fischietto e manette, e fu concessa loro ampia discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l'ordine e fare rispettare il regolamento.
Tale abbigliamento pose entrambi i gruppi in una condizione di de-individualizzazione.
I risultati andarono drammaticamente oltre le previsioni formulate dagli sperimentatori. Dopo appena due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono nelle celle inveendo contro le guardie; queste ultime iniziarono a intimidirli, umiliarli e sabotare il loro legame di solidarietà. Le guardie costrinsero i prigionieri a cantare canzoni oscene, defecare in secchi senza poterli vuotare, pulire le latrine a mani nude. A fatica le guardie e il direttore (Zimbardo) riuscirono a sedare un tentativo di evasione di massa. Al quinto giorno i prigionieri mostrarono sintomi di disgregazione individuale e collettiva: il loro comportamento si era fatto docile e passivo, il loro rapporto con la realtà appariva compromesso da disturbi emotivi, mentre le guardie continuavano a comportarsi in modo vessatorio e sadico. A quel punto l'esperimento fu interrotto suscitando da un lato la soddisfazione dei carcerati e dall'altro un certo disappunto da parte delle guardie, già del tutto assuefatte all'ebbrezza del potere.
L'Esperimento Carcerario di Stanford dimostrò come la sussistenza di talune condizioni esterne alla natura dell'individuo possa indurre potenzialmente chiunque a commettere atti atroci. Secondo Zimbaldo basta la 'giusta' combinazione di motivazioni personali, situazioni esterne e disponibilità di strumenti sistemici, per far si che una qualsiasi persona equilibrata si lasci sopraffare dalle pressioni situazionali sviluppando comportamenti antisociali.
Il titolo del libro: L'Effetto Lucifero, si riferisce al processo di trasformazione dal bene al male che il mito attribuisce all'angelo più luminoso e prediletto da Dio. L'analogia fornisce lo spunto per dibattere delle trasformazioni umane dal bene al male. L'argomento intorno a cui ruota l'intero testo di Zimbardo è che il comportamento umano non sia solo il frutto della natura dell'individuo, ma anche dell'influenza di una serie di 'fattori situazionali e sistemici' che modellano il modo di agire individuale, a volte in manieradrastica. Il sociologo invita a prenderli seriamente in considerazione affinché gli individui appartenenti a qualsiasi gruppo, o detentori di qualsiasi tipo di potere, che vivano in una cultura imperfetta come la nostra, possano prendere le dovute precauzioni contro tali invisibili, ma spesso nefaste influenze 'oggettive.' Il libro è una sorta di accorata esortazione a tenere sotto stretto controllo oltre che se stessi e le proprie pulsioni, anche le leadership di ogni organizzazione, dagli stati, alle multinazionali, alle lobby politiche e religiose.
Le tre sfere di influenza considerate da Zimbardo sono: persona, situazione, e sistema.
Persona.
L'individuo agisce in funzione delle personali ambizioni e motivazioni, spesso dettate dalla cultura e dalla casualità. Quanto più immorale è la cultura in cui la persona si trovi ad agire, maggiori sono le possibilità che in presenza di talune circostanze situazionali e sistemiche essa agisca immoralmente. Una delle situazioni più comuni capaci di innescare l'Effetto Lucifero èl'esercizio del potere. Il potere per affermare se stesso deve sottomettere, con le buone o con le cattive. Scegliere la strada del potere significa scegliere di agire in accordo a una serie di imperativi e logiche auto-conservative che spesso comportano ilsacrificio della persona sull'altare del ruolo, determinando la scissione tra coscienza e individuo.
Situazione.
Tali imperativi e logiche sono definiti da Zimbardo: situazioni. Le situazioni non influenzano solo il potere. Un cittadino oppresso da una situazione economica precaria si comporta in modo diverso da un cittadino benestante. Un cittadino socialmente integrato agisce in modo diverso da un cittadino emarginato. Un cittadino felice è diverso da un cittadino disperato. Un cittadino che goda della facoltà di esercitare una forma di potere sul proprio prossimo agisce in modo diverso da uno costretto a subire il potere altrui.
Secondo Zimbardo le forze situazionali governerebbero ogni apparato egregorico in cui si riduca la responsabilità del singolo.Quando le persone si sentono al servizio di qualcosa di 'più grande' che le include, sono indotte facilmente ad assumere comportamenti antisociali.
I soggetti che si sentono appartenenti ad un gruppo di potere - ad esempio un contingente militare o di polizia, una multinazionale,un'ideologia, una lobby - secondo Zimbardo vivono in un eterno presente in cui passato e futuro sono percepiti come elementi remoti e irrilevanti. Le emozioni dominano la ragione, e le azioni la riflessione.
Sistema.
Ogni fattore situazionale è prodotto dal sistema in cui prende forma. Per poter funzionare, un sistema basato sul debito deveprodurre cittadini e nazioni indebitati; è fisiologico. Un sistema basato sul liberismo darwinista, sul centralismo, il verticismo e la disparità non può che generare situazioni di frizione ed emarginazione. L'apparato di potere avendo accesso al quadro di comando del sistema, se non adeguatamente sorvegliato tenderà a modellarne la struttura in funzione della propria auto-tutela e contro l'interesse generale. La principale forma di auto-tutela del potere consiste nella creazione di strumenti tramite cui consolidare e accrescere la distanza tra il potere e il non potere. Un sistema in cui la sopravvivenza della persona umana non fosse subordinata al possesso di denaro - ad esempio - priverebbe il potere di un formidabile strumento di controllo, repressione e manipolazione; un sistema basato sul diritto naturale piuttosto che sul diritto positivo, sull'esperienza piuttosto che la cultura, la reputazionepiuttosto che la propaganda, lo spirito piuttosto che la materia, complicherebbe in misura notevole il compito autoconservativo del potere. In altre parole, il potere è tale in virtù degli strumenti che gli sono forniti dal sistema in cui è esercitato.
Lo Stanford Prison Experiment.
Quando era ancora uno studente di psicologia sociale Zimbardo fu colpito dalle idee dello studioso francese Gustave Le Bon; in particolare quella della de-individualizzazione per cui i soggetti appartenenti a un gruppo coeso tendano facilmente a smarrire l'identità personale, la coscienza, la responsabilità, e a sviluppare di conseguenza impulsi antisociali. Nell'estate del 1971 Zimbardo decise di dimostrare la teoria attraverso un esperimento che condusse nel seminterrato dell'Istituto di psicologia dell'Università di Stanford, Palo Alto, dove fu riprodotto fin nei minimi dettagli un ambiente carcerario.
Fra i 75 studenti universitari che risposero all'annuncio gli sperimentatori ne scelsero 24, maschi di ceto medio, fra i più equilibrati, maturi e meno soggetti a comportamenti devianti; i soggetti selezionati furono poi assegnati casualmente al gruppo dei detenuti o a quello delle guardie.
I prigionieri indossarono delle divise su cui erano stati applicati dei numeri identificativi, dei berretti di plastica, e fu loro posta una catena alla caviglia. Dopodiché fu loro comunicato un insieme di rigide regole a cui erano tenuti ad attenersi. Le guardie indossarono uniformi color kaki, occhiali da sole riflettenti che impedivano ai prigionieri di guardarle negli occhi; erano dotate di manganello, fischietto e manette, e fu concessa loro ampia discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l'ordine e fare rispettare il regolamento.
Tale abbigliamento pose entrambi i gruppi in una condizione di de-individualizzazione.
I risultati andarono drammaticamente oltre le previsioni formulate dagli sperimentatori. Dopo appena due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono nelle celle inveendo contro le guardie; queste ultime iniziarono a intimidirli, umiliarli e sabotare il loro legame di solidarietà. Le guardie costrinsero i prigionieri a cantare canzoni oscene, defecare in secchi senza poterli vuotare, pulire le latrine a mani nude. A fatica le guardie e il direttore (Zimbardo) riuscirono a sedare un tentativo di evasione di massa. Al quinto giorno i prigionieri mostrarono sintomi di disgregazione individuale e collettiva: il loro comportamento si era fatto docile e passivo, il loro rapporto con la realtà appariva compromesso da disturbi emotivi, mentre le guardie continuavano a comportarsi in modo vessatorio e sadico. A quel punto l'esperimento fu interrotto suscitando da un lato la soddisfazione dei carcerati e dall'altro un certo disappunto da parte delle guardie, già del tutto assuefatte all'ebbrezza del potere.
L'Esperimento Carcerario di Stanford dimostrò come la sussistenza di talune condizioni esterne alla natura dell'individuo possa indurre potenzialmente chiunque a commettere atti atroci. Secondo Zimbaldo basta la 'giusta' combinazione di motivazioni personali, situazioni esterne e disponibilità di strumenti sistemici, per far si che una qualsiasi persona equilibrata si lasci sopraffare dalle pressioni situazionali sviluppando comportamenti antisociali.
Fonti
http://discovermagazine.com/2007/apr/book-excerpt
http://ethicalsystems.org/content/lucifer-effect
http://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_carcerario_di_Stanford
http://ethicalsystems.org/content/lucifer-effect
http://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_carcerario_di_Stanford
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.anticorpi.info/2015/04/leffetto-lucifero.html
Psicologia del bene e del male: chi sono i buoni e chi i cattivi?
Di Rosalba Miceli http://www.lastampa.it/
Uno dei temi su cui si arrovellava lo psicoanalista tedesco di origine ebraica Erich Fromm, sollevato drammaticamente da quanto era avvenuto nei campi di concentramento nazisti, è come individui apparentemente normali, messi in condizioni idonee, possono diventare dei perversi, dei sadici, degli aguzzini.
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Altri, invece, sostiene Fromm, posti nelle medesime condizioni, non diventeranno mai dei perversi, non faranno mai del male (Fromm, L’amore per la vita). Cosa differenzia questi soggetti dai primi? E quali condizioni favoriscono l’espressione di una aggressività e distruttività latente? La psicoanalisi attuale, orientata in senso relazionale, e la psicologia sociale, stanno ancora cercando delle risposte.
Gli studi attuali prendono in esame anche un altro tipo di violenze, che si consumano negli ambienti tipici della vita quotidiana: individui dall’aria insospettabile, bravi padri e madri di famiglia, piacevoli compagni che tengono conto dell’opinione dei vicini, possono reprimere una pulsione che non sarebbe socialmente accettata, talvolta si abbandonano a vere e proprie torture psicologiche nei confronti di colleghi di lavoro più vulnerabili, o viceversa, individui rispettabili sul posto di lavoro vivono situazioni familiari cariche di violenza, di odio, di vendetta. O ancora, cittadini impeccabili, benevoli con i bambini e gli animali, sono tuttavia in grado di manifestare aperta ostilità ed aggressività nei confronti dello straniero. Si tratta di un deficit di empatia o la forza di certe situazioni è tale da condizionare i comportamenti dell’individuo? Per spiegare questi casi, e anche la “banalità del male” emersa dai racconti degli imputati al processo di Norimberga, l’orrore dei campi di concentramento a cui lui stesso è sfuggito fortunosamente da bambino, ma che hanno ingoiato la sua famiglia, lo psicoanalista francese Boris Cyrulnik parla di perversione “congiunturale”, diversa dalla perversione “strutturale” in quanto non sembra, almeno apparentemente, connessa ad un particolare percorso evolutivo: il perverso congiunturale manifesta una “serena” disposizione a fare del male solo quando ne ha l’occasione. Si può intervenire, modificandola, su una situazione che esercita un effetto di pervertimento? Cyrulnik propone di agire sui discorsi culturali che permeano l’ambiente “malato”, incrementando la partecipazione attiva dei soggetti alla cultura, ai dibattiti, alle decisioni politiche. “Si vede, allora, che molti individui si meravigliano dei propri comportamenti precedenti o di ciò in cui hanno creduto” (Boris Cyrulnik, Autobiografia di uno spaventapasseri, Raffaello Cortina Editore). Al contrario, il perverso “strutturale”, con chiare carenze nello sviluppo emotivo, risponderà soltanto in modo perverso, qualunque sia l’ambiente relazionale o la situazione. Più drastica la posizione espressa da Phil Zimbardo, una delle figure più autorevoli della psicologia sociale contemporanea, già presidente dell’American Psychological Association, attualmente professore emerito alla Stanford University, e riproposta recentemente da Piero Bocchiaro, psicologo sociale formatosi alla Stanford University, autore del saggio “Psicologia del male” (Editori Laterza): chiunque, in particolari circostanze, può infierire contro un altro essere umano. “Compiere il male - sottolinea Zimbardo nella prefazione al saggio di Bocchiaro - vuol dire attuare in maniera intenzionale un comportamento che danneggi, oltraggi, umili, deumanizzi o distrugga una o più persone innocenti, mentre restano escluse da questa definizione le condotte che procurano sofferenza o morte in maniera accidentale. L’ipotesi di Zimbardo che annulla o quantomeno riduce lo scarto tra i buoni ed i cattivi, tra il bene ed il male, è stata testata in un famoso esperimento: nell’estate del 1971 Zimbardo, allora professore di psicologia alla Stanford University, realizzò l’Esperimento carcerario di Stanford, rivelando come un contesto carcerario possa innescare comportamenti riprovevoli nei soggetti coinvolti. Zimbardo si prefiggeva di indagare il comportamento umano in un ambiente sociale in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza. L'esperimento prevedeva l'assegnazione, ai volontari che accettarono di parteciparvi, dei ruoli di guardie e prigionieri all'interno di un carcere simulato nel seminterrato dell’Istituto di psicologia dell’Università di Stanford, a Palo Alto. Fra 75 studenti universitari che risposero a un annuncio, furono scelti 24 maschi, di ceto medio, fra i più equilibrati e meno inclini a manifestare comportamenti devianti; i giovani furono poi assegnati casualmente al gruppo dei detenuti o a quello delle guardie. I prigionieri portavano ampie divise sulle quali era applicato un numero, mentre le guardie indossavano uniformi color kaki, occhiali da sole che impedivano ai prigionieri di coglierne lo sguardo. I risultati di questo esperimento sono andati oltre le previsioni degli sperimentatori, rivelandosi particolarmente drammatici: i volontari che assumevano il ruolo di prigionieri tendevano ad identificarsi automaticamente nel gruppo dei prigionieri, in contrapposizione al gruppo delle guardie, mettendo in secondo piano o escludendo del tutto altri tipi di somiglianze e differenze. Dopo due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e barricandosi all’interno delle celle, presero a inveire contro le guardie; queste ultime risposero alle ingiurie cercando di intimidirli e umiliarli in vario modo; al quinto giorno i prigionieri mostravano segni evidenti di disagio emotivo e passività mentre il comportamento delle guardie scivolava pericolosamente verso il sadismo. A questo punto i ricercatori interruppero l'esperimento. Assumere un ruolo di controllo sugli altri nell’ambito di una istituzione come quella del carcere, induce ad accettare le regole dell'istituzione come unico valore, indebolisce il senso di responsabilità personale riguardo alle conseguenze delle proprie azioni, alimentando l’espressione di impulsi antisociali. Zimbardo utilizza l’Esperimento carcerario di Stanford come modello per comprendere le dinamiche che possono verificarsi in altre situazioni - anche un innocuo ambiente lavorativo come un ufficio può trasformarsi in una prigione opprimente, con vittime designate da una parte e kapò dall’altra - e suggerisce la necessità di un cambiamento di paradigma dal modello medico prevalente focalizzato sull’individuo che compie il male verso una maggiore attenzione alle condizioni del sistema che supporta e mantiene l’abitudine al male. L'importanza degli studi di Zimbardo è stata riproposta dalle tristi vicende del carcere di Abu Graib. Era l’aprile del 2004 quando i media di tutto il mondo diffusero le immagini della galleria di orrori di cui si erano resi responsabili i soldati americani nei confronti dei prigionieri iracheni che vi erano detenuti. Nel 2004, Zimbardo ha testimoniato presso la corte marziale in difesa del sergente Ivan “Chip” Frederick, una guardia della prigione di Abu Graib, sostenendo che la pena relativa a Frederick doveva essere valutata tenendo conto delle pressioni ambientali subite dal militare, con le aggravanti di un addestramento e di una supervisione molto limitati (a Frederick è stata inflitta una pena di 8 anni). Tra le variabili situazionali che innescano un processo di “deindividuazione”, l’effetto “folla” è tra i più sconvolgenti: una folla inferocita o in preda al panico può divenire incontrollabile, scavalcando argini, pressando, calpestando qualunque cosa, qualunque persona si trovi sul suo cammino. “La massa psicologica è una creatura provvisoria, composta di elementi eterogenei saldati insieme per un istante, esattamente come le cellule di un corpo vivente formano, riunendosi, un essere nuovo con caratteristiche ben diverse da quelle che ciascuna di queste cellule possiede”, scriveva lo psicologo e sociologo francese Gustave Le Bon nel saggio del 1895 “Psicologia delle folle”. Gli esempi non mancano: dalla tragedia dell’Heysel, il massacro perpetrato dagli hooligan alla finale della Coppa dei Campioni dell’85, alla tragedia più recente, avvenuta il 24 luglio scorso al festival techno di Duisburg dove la micidiale ressa dei partecipanti divenuti una massa fisica (e forse anche psicologica), ha provocato una ventina di morti e centinaia di feriti. Ammesso che il male agisca fuori e dentro di noi, cosa sappiamo del bene? Alla banalità del male, Zimbardo oppone la ordinarietà del bene. Gli eroi sono in genere eroi della vita quotidiana, i quali in particolari situazioni si coinvolgono in azioni straordinarie. Osserva Zimbardo, si tratta di individui ancora poco noti alla psicologia, che preferisce indagare menti criminali, intriganti maggiormente l’immaginario comune: è indubbiamente più facile identificarsi con l’aggressore, con colui che esercita un potere sull’altro, mentre colui che fa del bene ispira anche una certa diffidenza, come se l’attenzione per l’altro fosse già di per sé sospettabile. Ma siamo tutti eroi pronti a fare del bene quando se presenta l’occasione? O essere dalla parte del prossimo richiede particolari competenze emozionali, un training emotivo che porta a riconoscere una comune vulnerabilità, una “conversione al bene”, la scelta consapevole tra diverse e a volte contrastanti opzioni? FONTE:http://www.lastampa.it/2010/07/28/scienza/galassiamente/psicologia-del-bene-e-del-male-chi-sono-i-buoni-e-chi-i-cattivi-1yadHOGrG5aQgElww4UDOP/pagina.html VISTO ANCHE SU http://www.psicologoamico.it/esteso.asp?esteso=1611 |
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