sabato 30 gennaio 2016

5 IDEE PER AIUTARE IL DIALOGO TRA GENITORI E FIGLI




FONTE:https://www.facebook.com/Comunicareinfamiglia/photos/a.114072672049220.16038.113408708782283/797584633698017/?type=1&theater

1 LA SCELTA DEI TEMPI. Scegliamo il momento. Ci accorgiamo quando un ragazzo ha voglia di parlare e quando no. In macchina, o tardi la sera, sono spesso momenti giusti per parlare. Lasciamoci guidare da lui. Rinunciamo se non va e siamo pazienti. 

2 UNO SPUNTO DI CONVERSAZIONE. Possiamo prendere spunto da una notizia del telegiornale, da quello che accade in una fiction televisiva, da un programma tv. Parlare di fatti e persone estranei può essere più facile che parlare di cose personali.

3 APRIAMOCI PER PRIMI. Cominciamo a parlare di noi stessi, parliamo di qualcosa che ci è capitato. Così alimentiamo un clima di fiducia che facilita la confidenza. Evitiamo invece domande dirette, con le quali cerchiamo di condurre il discorso dove vogliamo noi.

4 ATTIVITA’ INSIEME. Fare qualcosa insieme facilita la conversazione. Preparare una merenda, un aperitivo, riparare un oggetto del figlio assieme a lui.

5 ASCOLTO. La comunicazione funziona a due vie. Parlare e ascoltare vanno di pari passo. Più dimostriamo che vogliamo ascoltare, più l’altro parlerà.

Elaborato dal testo di John Coleman, Perché non mi parli?, Raffaello Cortina Editore, pp 3, 10 e 11 - Foto: Eddy Berthier, Creative Commons, dominio pubblico.



L'egoismo positivo che fa bene all'autostima

Senza egoismo niente autostima
Sia in tenera età che da vecchi siamo più egoisti che mai: si tratta di momenti della vita in cui l'educazione e l'autocontrollo non sono ancora ben strutturati oppure tendono a tramontare, lasciando spazio a un modo di essere spontaneo e istintivo. La morale comune e i pregiudizi consueti direbbero che stiamo parlando di un difetto da correggere;  al contrario, prendersi cura di sé, ascoltare in primo luogo le indicazioni che sgorgano dal proprio animo, allontanarsi dal modo comune di pensare è l'unica via per diventare consapevoli e accrescere l' autostima.
Non nascondiamo l'egoismo sotto una maschera
Troppe volte però il timore di essere tacciati di egoismo ci impedisce di manifestare la nostra autenticità, in troppe occasioni indossiamo la maschera dell'altruismo, mostrandoci bravi, buoni, per nascondere ciò che siamo. Ciò condiziona il processo evolutivo della nostra personalità, impedisce di trovare il nostro percorso, e alla lunga mina proprio la nostra autostima. Scriveva Carl Gustav Jung che «ogni vita non vissuta rappresenta un potere distruttore e irreversibile, che opera in modo silenzioso ma spietato».
Senza egoismo più ipocrisia e meno autostima
Anche Friederich Nietzsche la pensava così: il grande filosofo tedesco elevava un inno all'egoismo sostenendo che questo moto dell'animo è una vera e propria sorgente di creatività, allegria e sensibilità. Egli metteva in evidenza come sia difficile esprimere la propria natura in un mondo che per secoli l'ha condannata e repressa: «Per millenni l'egoismo è stato considerato il vero male della vita e ciò instupidì, imbruttì e avvelenò l'egoismo e gli sottrasse molto spirito, sensibilità, inventiva e bellezza». Certo, è giusto distinguere l'egoismo sano dal narcisismo, che ne è l'estremizzazione gretta: ma resta forte l'impressione che per conquistare l' autostima vada ammainata la bandiera di un'altruismo insincero che troppo spesso dà vita a comportamenti venati d'ipocrisia.  
Come un po' di  sano egoismo fa bene all'autostima
- Fa maturare il cervello
Autonomia, spirito critico, libertà intellettuale, contatto con se stessi, sono nutrimento vitale del cervello. Gli consentono di espandersi e sviluppare le sue potenzialità. Ecco perchè un egoismo sano fa acquisire autostima.
- È una spinta naturale
È tipico dei bambini e degli animali; come tutte le spinte istintive e biologiche ci porta all'autoaffermazione (e quindi all'autostima). È sbagliato considerarlo come un difetto; riflettiamo piuttosto su quanto possa essere dannoso e innaturale reprimerlo.
- Crea relazioni più sincere
La relazione adulta più matura è quella che si crea tra persone che sanno prendersi cura di se stesse e hanno chiare le proprie esigenze e i propri desideri. Un sano egoismo in realtà getta le basi per una relazione sana fondata su uno scambio chiaro e sincero.
- Rende unici e creativi
Porre se stessi al centro della propria vita garantisce un maggior contatto con la propria natura, un senso più forte di identità e uno  stile di vita  creativo. Contrasta la spinta a imitare i modelli  convenzionali, aiuta a non cedere alle aspettative altrui.
- Stimola l'autonomia
L'egoismo "buono" stimola ad assumersi la responsabilità della propria vita, e a non dipendere dagli altri. Nella sua essenza altro non è che la capacità di prendersi cura di sé, senza delegare ad altri scelte e soddisfazioni dei propri bisogni.

Perché trema l’occhio?

tremore occhio cause
Di Maris Matteucci
La contrazione muscolare delle palpebre che determina questo disturbo può avvenire per molti fattori: stress e eccessiva tensione sono alcune delle varianti coinvolte in questo processo. L’ansia generata da periodi fortemente stressanti è causa del tremore dell’occhio che, sotto pressione, reagisce in questo modo. Ridurre lo stress potrebbe essere una ottima soluzione per risolvere il disturbo. Ma tra i motivi che portano l’occhio a tremare ci potrebbe essere anche un affaticamento della vista, dovuto per esempio a un calo dei decimi. Si comincia a vedere con più difficoltà, l’occhio è sottoposto a uno sforzo maggiore e comincia a tremare. In casi come questo solamente una visita oculistica potrebbe essere in grado di fare luce sulla situazione per correre ai ripari seguendo la strada giusta.
Anche un uso eccessivo di caffeina e alcol può contribuire a scatenare le contrazioni palpebrali tipiche di quando sentiamo l’occhio che trema. Si tratta di sostanze eccitanti che aumentano le contrazioni dei muscoli dell’occhio provocando questo disturbo. In questo caso, ridurre il consumo di tè, caffè e bevande alcoliche potrebbe essere di per sé già un importante primo passo da fare per la risoluzione del problema. Infine, l’occhio potrebbe tremare anche per una eccessiva secchezza (anche in questo caso è fondamentale una visita oculistica), per una allergia o per una alimentazione poco equilibrata nella quale si registrano specifiche carenze (magnesio e potassio in primo luogo). Perché l’occhio trema? Le cause possono essere da ritrovare in questo lungo elenco.
Foto | Thinkstock

IL BAMBINO INTERIORE



Di Vincenzo Bilotta
L’infanzia è il momento più importante della Vita di ogni essere umano. In essa, infatti, si fanno le prime esperienze, apprendendo al contempo degli schemi comportamentali che serviranno per il resto della nostra Vita. Ecco perché sono fondamentali per il bambino il gioco e la creatività, senza reprimerlo ma lasciandogli anzi lo spazio per potersi esprimere liberamente.
Man mano che si andrà crescendo, si passerà attraverso le diverse fasi della Vita che porteranno poi ad essere delle persone adulte. Qui sta la fregatura. Infatti, una volta divenuto adulto, ognuno di noi tende a prendere la Vita in maniera fin troppo seria, perdendo quella giocosità che gli consentirebbe, invece, se mantenuta nel corso della crescita, di vivere in maniera meno rigida i vari accadimenti quotidiani.
Nonostante ciò, nel nostro Io più profondo, c’è sempre un bambino interiore che aspetta solo di giocare con la Vita assieme a noi. Questo bambino è represso da una società troppo impegnata ad autodistruggersi attraverso la sua corsa sfrenata verso il progresso. Pur essendo represso, questo bambino vive dentro di noi e può essere sentito quando noi giochiamo con la Vita e smettiamo di prenderci troppo sul serio.
...
Ma come si fa a comunicare col proprio bambino interiore? Semplicemente tornando a giocare con la Vita e gli accadimenti quotidiani. Se ci riflettete, ciò non è poi così difficile. Infatti, basta entrare nella dimensione di gioco con tutto ciò che si fa. Alla fine abbiamo imparato ad essere adulti fin da bambini attraverso i giochi nei quali interpretavamo i vari ruoli, sia sociali che professionali, che avremmo voluto rivestire da adulti.
Adesso, per tornare a comunicare col nostro bambino interiore, occorrerà innanzitutto togliere quella dimensione di serietà che ci ha fatto diventare degli adulti ammuffiti, per lasciare spazio al lato allegro e giocoso della nostra parte vera ma, fino ad oggi, repressa. Così facendo, porteremo una ventata di freschezza e spensieratezza nelle nostre Vite e in quelle delle persone che ci circondano quotidianamente.
Questo riconnettersi col proprio bambino interiore avrà, sicuramente, degli effetti positivi nella nostra Vita, in quanto ci permetterà di tirare fuori quella creatività che avevamo da bambini e che abbiamo quasi dimenticato una volta diventati adulti perché troppo presi dalla nostra routine quotidiana. Ciò potrà permetterci di rendere meglio in ciò che facciamo ma, soprattutto, ci farà capire se la situazione che stiamo vivendo ci renda o meno felici.

giovedì 11 giugno 2015

Bullismo: l’errore è pensare di meritarlo


Di Salome Sodini e Silvia Carrus

In Toscana abbiamo una parola bellissima per descrivere chi viene infastidito dalle minime cose, prova piacere nel potersi lamentare di tutto e preferibilmente gira anche con le lacrime in tasca: fioso. In virtù dell’essere io una bambina estremamente fiosa e viziata, secondo la maggior parte delle maestre che ho avuto, ero altresì convinta di meritarmi tutti i dispetti che mi facevano tutti i miei compagni di classe. Ne facevo anch’io, talvolta, perché in fin dei conti ero pur sempre una bambina di sette anni, ma sopportavo, senza che mi passasse per l’anticamera del cervello la possibilità di potermi difendere o reagire in qualche modo.

Non era questione di non saperlo fare, era proprio che non mi veniva in mente questa possibilità: confusamente capivo che ero fiosa e viziata, essere fiosi e viziati è male, essere presi in giro perché si è fiosi e viziati è una conseguenza naturale. In quanto bambina fiosa e viziata sentivo di avere però il diritto di piangere e lamentarmi della mia triste sorte con chiunque mi capitasse a tiro, dopotutto era quello che gli altri – le maestre, i miei amichetti, perfino i miei genitori – si aspettavano che facessi, alimentando un circolo vizioso che potenzialmente poteva durare per sempre.

A onor del vero, non ci sono mai state tragedie: la cosa più brutta che mi è capitata è stata quando un bambino, in quinta elementare, mi ha sputato nei capelli; la cosa più stupida che sono stata costretta a fare è stata saltare dal tetto di un capanno degli attrezzi alta un paio di metri, ai tempi delle scuole medie.

Se però dico che sono stata vittima di bullismo la gente si aspetta le tragedie che salgono agli onori della cronaca ogni tre per due, dalle baby-gang che picchiano un compagno per rubargli i soldi, alla ragazzina ripresa col cellulare e svergognata pubblicamente per ogni dove, passando per chi viene picchiato in quanto colpevole di parlare con accento straniero, di provare interesse per il genere sbagliato, o semplicemente di indossare vestiti non appropriati.

Forse anche in virtù dell’essere stata una bambina fiosa e viziata, forse perché da grande vorrei lavorare nell’ambito dell’educazione, leggo sempre con grande interesse e tanto dispiacere le notizie di questo tipo, chiedendomi ogni volta perché è successo, si poteva evitare, come mai non se ne è accorto qualcuno prima. Da quando ho iniziato a fare ripetizioni e a vedere quindi cosa succede a scuola da un altro punto di vista ho scoperto di essere piuttosto brava a riconoscere eventuali segnali preoccupanti, ma alla fine dell’ora mi assale comunque un senso di impotenza terribile: so cosa succede, più o meno, ma non posso fare niente per impedire che accada. Qual è il limite per intervenire se nessuno ti chiede direttamente aiuto?
Gli psicologi definiscono il bullismo come un tipo di condotta aggressiva, basato su uno squilibrio di potere tra vittima e prepotente; convenzionalmente, si parla di bullismo quando l’atto è intenzionale e ripetuto nel tempo. Generalmente, si tende a distinguere il bullismo diretto(fisico o verbale che sia) da quello indiretto (il gruppo manipola le strutture sociali per escludere la vittima, a dare fastidio è più il non fatto che il fatto). È interessante notare che alle femmine viene attribuito quasi sempre il bullismo indiretto: quando ce ne parlavamo a scuola, veniva quasi sempre fuori che eravamo più subdole e cattive, e incapaci di dirci le cose in faccia come facevano i maschi, che si tirano due pugni e poi amici come prima. Stereotipi di genere come se piovesse, insomma.
Per quella che è stata la mia esperienza durante le scuole elementari e medie, credo che il più grosso errore sia soltanto concentrarsi sul bambino che subisce bullismo. Quando andavo alle scuole medie ogni anno abbiamo avuto un progetto diverso sul bullismo, ogni anno ne abbiamo parlato e sviscerato le cause e ci siamo chiesti se qualcuno di noi aveva subito niente di tutto questo, o se riconosceva comportamenti aggressivi negli altri: la risposta è sempre stata no.
Tacevo io, anche se Tizio e Caio mi davano noia, taceva Sempronio, che era considerato stupido ritardato e veniva aggredito regolarmente da tutti quanti noi, tacevano gli altri. Questa cosa non mi riguarda, chiedere aiuto è vergogna, chi fa la spia non è figlio di Maria! Al momento delle domande io disegnavo con il lapis sul banco e aspettavo la fine dell’ora.
La mia amica Soraya dice che io mi preoccupo troppo, quando le racconto di uno dei bambini che aiuto a fare i compiti e che ho il sospetto venga perseguitato a scuola: libri strappati e pieni di parolacce scritti in una scrittura non sua, che mi strappa di mano non appena vede che cerco di leggere cosa gli hanno scritto. Soraya dice che impicciarsi nelle cose dei ragazzini è sbagliato, che sono come i gattini che imparano a cacciare facendo la lotta e in fin dei conti alla vittima va bene così, altrimenti si ribellerebbe.
Delle sue affermazioni, condivido forse in parte soltanto l’ultima, perché ricordo che sì, io pensavo di meritarmi tutto ciò e anche di peggio, però mi chiedevo anche perché l’unica a essere chiamata in casa dai genitori – quando mio padre vedeva che i bambini in piazza esageravano – ero io, che in fin dei conti non avevo fatto nulla di male. Se c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel bambino che non si difende, perché non vuole e/o non ci riesce, altrettanto c’è nel bambino che per affermare se stesso ha bisogno di fare del male agli altri.
Mi piacerebbe raccontarvi di come io sono riuscita a spezzare il cerchio e a uscire dalle dinamiche del bullismo, ma la verità è che non lo so. Credo che a un certo punto si diventa grandi, nella migliore delle ipotesi ci si circonda di persone diverse, persone che ci piacciono e che ci apprezzano per quello che siamo, nella peggiore le dinamiche del bullismo si trasformano in qualcos’altro – mobbing o nepotismo, per esempio.
Sicuramente, restano le cicatrici; se da una parte quello che non uccide rende più forti, dall’altra io mi guardo indietro e mi chiedo se questa sofferenza, anche quando non finisce in tragedia, sia davvero motivata. Ognuno deve salvarsi da solo, ma lasciare un ragazzino in balia del gruppo (vittima o carnefice che sia) non è una cosa sensata; forse sono un’ingenua senza speranza, ma credo che presi singolarmente anche i bulli non siano cattivi.
I bulli sbagliano soltanto il modo di relazionarsi con gli altri, proprio come le loro vittime, ripetendo spesso a pappagallo comportamenti sbagliati del mondo degli adulti. Per questo dico che i progetti di bullismo fatti a scuola molto spesso sono inutili: nella mia esperienza parlare al gruppo, che è forte e compatto e non ha coscienza, non serve. È alla persona singola, per quanto possa essere piccola e superficiale, che devi rivolgerti.
Il mio punto di non ritorno è stato il capanno degli attrezzi. Era l’estate della quinta elementare e ricordo come costante di quel periodo il fatto che giocassimo sempre a Obbligo e Verità. Mi ero ritrovata ad essere l’unica femmina in un gruppo di maschi, e forse anche per questo (oltre ad essere viziata e fiosa, come sopra) venivo presa costantemente di mira. Quell’anno erano tutti convinti che avessi una cotta per Z., il bambino con cui giocavo più spesso, e ricordo che si inventavano per me gli Obblighi più pesanti che riuscivano a trovare soltanto per farmi cedere, scegliere Verità e obbligarmi a dichiarare davanti a loro il mio amore incondizionato per Z.
Tralasciando che non mi ero mai posta il problema di avere o meno una cotta per Z., qualcosa mi diceva che sarei stata costretta ad ammetterla lo stesso, Z. avrebbe quindi ribattuto dicendo che gli facevo schifo (che lo pensasse davvero o meno) e non sarei più potuta andare a casa sua a giocare a Tomb Raider: davanti a un simile panorama, accettavo di buon grado di essere piuttosto obbligata a mangiare le foglie della siepe, a urlare dal balcone e a camminare in equilibrio sui muretti.
Il giorno del punto di non ritorno, però, evidentemente il resto del gruppo cercò di farmi cedere alla Verità, facendo proporre a Y un obbligo discretamente folle: saltare dal tetto del capanno degli attrezzi. Per quanto a dieci anni non avessi particolarmente senso del pericolo, lo capivo pure da sola che saltare da un paio di metri non era la migliore idea di sempre e lì esitai. Se non salti non hai fatto l’Obbligo e devi fare Verità, io non volevo assolutamente fare Verità, quindi ritenni meno tragico chiudere gli occhi, lasciarmi cadere di sotto e finire sull’erba.
Mi rialzai subito in piedi, come se non credessi nemmeno io di non avere nulla di rotto: tremavo. Senza dire una parola, me ne andai via, pensando confusamente di aver vinto in qualche modo e non tornai mai più a giocare a Obbligo e Verità. Credo di aver iniziato a capire in quel momento che, pur essendo una bambina fiosa e viziata, comunque non meritavo ciò e non ero obbligata a subirlo. E la consapevolezza è sempre il primo passo.

L'adolescenza,secondo il parere del celebre psicoanalista Giacomo Contri, è un'età che non esiste e che è stata "inventata" di recente

Un grande psicoanalista contro un luogo comune: un'invenzione moderna. Una stagione di passaggio che nella storia gli uomini non hanno mai conosciuto. Intervista a Giacomo Contri. Di Luca Ribolini


L'adolescenza è una non età. Per Giacomo Contri, psicoanalista, allievo e traduttore di Jacques Lacan, a capo di una scuola che a Milano aggrega un gruppo affiattatissimo di studiosi e di operatori, è tranchant. Di questa affermazione che scuote decenni di pensiero pedagogico va assolutamente certo. Anni di riflessione e di pratica lo hanno portato a sistematizzare con grande chiarezza un'idea destinata a far discutere e a far pensare chi opera nel sociale. 63 anni, un fisico che mette soggezione, Contri è stato un protagonista attivo della vita culturale milanese sin dagli anni 70, quando invece della perfetta calvizie di oggi aveva i capelli lunghi e ribelli. Tra quegli anni ed oggi ci sono tanti libri e tanti incontri importanti, primo tra tutti quello con don Luigi Giussani, altro grande esperto di gioventù e di umanità. Vita: Che cos'è l'adolescenza? Giacomo Contri: è un'invenzione dei nostri tempi. Nel passato i ragazzi a 14/15 anni entravano già in un?età adulta, erano pronti per il lavoro e per il matrimonio, senza distinzione di classe sociali. Si iniziava a lavorare presto se si era poveri, cioè proletari nel senso letterale della parola. Ma si diventava cardinali anche a 12 se si apparteneva all'aristocrazia. L'adolescenza, concepita come età di passaggio, come un periodo di parcheggio in attesa di decidere che cosa fare della propria vita, non esisteva affatto. non si era mai in un'epoca falsa di belle speranze. Oggi invece non solo è stato aperto un varco a questa età, ma la si è dilatata a dismisura. Siamo adolescenti ad libitum Vita: Ma non esiste un'adolescenza per così dire biologica. L'età del passaggio, quella della maturazione? Contri: Non è che all'epoca dei miei bisnonni i ragazzi non vivessero la pubertà. Ma la pubertà non era una terra di nessuno, una stagione di parcheggio, una specie di sala di attesa dell?esistenza. Invece è con il secolo scorso che è stata attestata l?esistenza di questa stagione della vita, creando attorno a lei anche dottrine e teorie. Sino a farla diventare materia di una disciplina scientifica. Ma, per dirla fuori dai denti, la psicologia dell'età evolutiva per me non ha niente di scientifico. Vita: Perché? Contri: Appunto perché elude questo dato basilare: sino a qualche decennio fa nessuno si era accorto dell?esistenza dell'adoloscenza. Mi devono spiegare com'è possibile che in secoli di storia l'uomo non abbia notato un qualcosa che oggi si dà per assolutamente scontato. Vita: Ci possono essere ragioni demografiche. Oggi la vita si è allungata. E anche le età si sono dilatate? Contri: Un conto sono le età che si dilatano. E un altro è inventare un'età che non esisteva.

FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.vita.it/it/article/2006/08/20/ladolescenza-leta-che-non-esiste/57263/

Psicologia politica: come distrarre la massa dai veri problemi

Di Barbara Collevecchio
Miss Italia,  Calderoli?  insulti, boutade, interminabili botta e risposta e indignazioni on line? Temi importanti o abili strategie mediatiche e politiche per  distrarre l’attenzione?
Le tecniche di manipolazione psicologica sociale hanno dei padri fondatori e lunga storia.Gustave Le Bon etnologo e psicologo (fu uno dei fondatori della “Psicologia sociale”) fu il primo a studiare scientificamente il comportamento delle folle, cercando di identificarne i caratteri peculiari e proponendo tecniche adatte per guidarle e controllarle. Per questa ragione le sue opere vennero lette e attentamente studiate dai dittatori totalitari del novecento, i quali basarono il proprio potere sulla capacità di controllare e manipolare le masse. Tema centrale di Le Bon è : “Nell’anima collettiva, le attitudini intellettuali degli uomini, e di conseguenza le loro individualità, si annullano. L’eterogeneo si dissolve nell’omogeneo e i caratteri inconsci predominano”.
Dopo Le Bon un guru della propaganda fu Bernays, nipote di Freud: inizialmente, Bernays studiò l’opera di Gustave Le Bon, “Psicologia delle folle”, pubblicata nel 1895. Opera di riferimento per molti uomini politici, fu meticolosamenete studiata anche da Lenin, Stalin, Hitler, e Mussolini. La relazione con Freud era costantemente al centro del suo pensiero e del suo lavoro di consulente. Nella sostanza, la sua convinzione era che una manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse, svolge un ruolo importante in una società democratica. Nasceva così il concetto – caro appunto alla propaganda in chiave politica – secondo cui chi è in grado di padroneggiare questo dispositivo sociale può costituire un potere invisibile capace di dirigere una nazione:
«Coloro che hanno in mano questo meccanismo [...] costituiscono [...] il vero potere esecutivo del paese. Noi siamo dominati, la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, da gente di cui non abbiamo mai sentito parlare. [...] Sono loro che manovrano i fili…».
Nel 1933 Joseph Goebbels rivelò a un giornalista americano che lo stava intervistando, come il libro Crystallizing Public Opinion che Bernays aveva pubblicato nel 1923 fosse stato utilizzato per le campagne politiche dei nazional-socialisti. 
Noam Chomsky ha elaborato la lista delle 10 strategie della manipolazione attraverso i mass media. Tra queste spicca la numero uno: La strategia della distrazione. “L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.”
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali. Mantenere l’attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.

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Non aspettare; non sarà mai il tempo opportuno. Inizia ovunque ti trovi, con qualsiasi mezzo tu puoi avere a tua disposizione; mezzi mig...