domenica 31 gennaio 2016

L'ARCHETIPO DEL PUER AETERNUS SECONDO JUNG E HILLMAN


Di Marco Del Rey
Il Puer  (Puer Aeternus) è una figura archetipica affascinante, che U.Galimberti così  tratteggia:  “Espressione introdotta da C.G.Jung per indicare un termine di una coppia archetipica attiva nella psiche che ha il suo opposto nel Senex.
L’”eterno fanciullo” presenta una psicologia che sul versante nevrotico è caratterizzata dalla difficoltà a staccarsi dalla matrice originaria, dalla problematicità a trovare una collocazione stabile, da impazienza, vivacità immaginativa che non oltrepassa la soglia della continua ideazione e il desiderio di ricominciare sempre da capo su versanti più diversi, mentre sul piano individuativo assume il valore positivo della disponibilità e capacità a rinnovarsi.” (Galimberti, 1992).
      Se affrancato dai suoi aspetti di inconsistenza e labilità, di inconcludenza e di vacuità, il Puer può dunque corrispondere all’anelito vitale dell’esistenza, a quel tratto mercuriale dell’andare, del cercare nuove vie e nuove soluzioni, del non fermarsi mai, del rinnovarsi di continuo, del non soggiacere a quella che Hermann Hesse, da Puer qual’era, chiamava la “consuetudine inceppante”. Importante, forse fondamentale nel processo di individuazione, questo Archetipo rappresenta uno degli elementi più dinamici della psiche, dato che quando per il Puer ‘qualcosa’ finisce è soltanto per dare corso a un nuovo inizio, e il suo sguardo è sempre rivolto a est, verso l’aurora.
     Jung, accanto ai limiti (peraltro, come vedremo, anche piuttosto evidenti) di questo archetipo, ne sottolinea le infinite risorse e le grandi potenzialità, affermando che, “[…] il fanciullo da una parte è insignificante, sconosciuto, soltanto un fanciullo, dall’altra parte è invece divino.” (Jung, 1940) E aggiunge: “[…] considerato dal punto di vista della coscienza [...]” può essere visto come “[...] un contenuto apparentemente irrilevante, che non si supporrebbe capace di offrire soluzione o addirittura redenzione.” (Jung, ib.). Ma quando si passa dalla unilateralità della coscienza egoica alla dimensione simbolica, allora questo archetipo emerge dall’inconscio in tutta la sua potenza unificatrice: “Il fanciullo esce dal grembo dell’inconscio come sua creatura, generata dal fondo stesso della natura umana, o meglio della natura vivente in generale.” (ib.), con  quella ‘forza superiore’ con cui può riuscire “[…] a farsi valere a onta di ogni minaccia e pericolo.” (ib.). E continua, Jung, ricordando che il Puer “[…] personifica forze vitali al di là dei limiti della coscienza, vie e possibilità di cui la coscienza, nella sua unilateralità, non ha sentore[…]” e “[…] rappresenta l’impulso più forte e più irresistibile di ogni essere: l’impulso alla autorealizzazione.” (ib.)
   Il Puer è anche figura della nostalgia; nostalgia  che Jung spiega come difficoltà a separarsi dalla madre, e che contiene in sé una inconscia aspirazione a tornare in uno stato di incoscienza. E’ anche colui che, pur tendendo a evolvere verso l’autonomia, tuttavia non la conquista mai completamente. E’ […] “simbolo del desiderio, dell’anelito insaziabile che mai trova il suo oggetto, della nostalgia per la madre perduta.” (Romano, 1996). Continua Romano: “Non appena presa la rincorsa si ferma: il segreto ricordo che mondo e felicità possono anche essere ricevuti in dono, e dalla madre, paralizza il suo slancio e la sua perseveranza.”(ib.). Allora il Puer non può che apparire anche come una figura inconsistente e inconcludente, fragile e perennemente incompiuta, con un Io non strutturato, mai pienamente nel mondo, “[…] consegnato inerme a ultrapotenti nemici[…]” e “[…] minacciato da un continuo pericolo di annientamento.”(Jung, 1940).
   Già da questi pochi tratti possiamo cogliere tanto le grandi potenzialità quanto la grande fragilità di questo archetipo, e inoltre la sua intrinseca dualità e la sua particolare inclinazione verso la polarità. Da un lato ne cogliamo il continuo divenire e la ricerca inesausta, la curiosità e l’attrazione per il nuovo, l’’eternamente giovane’; dall’altro l’incompiutezza e l’inconsistenza, l’eterna insoddisfazione e la difficoltà ad adattarsi. L’incapacità di entrare nel tempo e di invecchiare e il rimanere figlio e non farsi padre; e una sessualità che “ […] da potente fuori dalla relazione si fa impotente nella relazione.” (Romano. Op. cit.). Così finiamo con l’identificare con l’Archetipo del Puer l’uomo che rimane troppo a lungo nei limiti di una psicologia adolescenziale, e che cerca in ogni donna una figura di madre; […] l’immagine della donna assolutamente perfetta, pronta a concedere tutto all’uomo…una dea madre.” (Von Franz, op. cit.). Salvo poi scoprire, dopo non molto, o periodicamente nel tempo, che quella donna è un essere umano come tutti, un essere ‘normale’: allora si sentirà deluso e proietterà  su un’altra donna la stessa immagine divina.
     Così M .L. Von Franz nella sua descrizione, tendenzialmente negativa,  del Puer : “Il Puer, di solito fatica ad adattarsi alle situazioni sociali. In certi casi manifesta una sorta di individualismo asociale: sentendosi una creatura speciale, ritiene di non doversi adattare, perché questo sarebbe chiedere troppo a un genio nascosto quale è lui. L’atteggiamento arrogante che ne consegue, si basa sia su falsi sentimenti di superiorità sia su di un complesso di inferiorità.” (Von Franz, op.cit.).
     Infatti, c’è sempre qualcosa che manca, qualcosa che non va, per il nostro Puer; anche la donna non è mai quella giusta, così come il lavoro, la casa e, in fondo, la vita. Vive una ‘vita provvisoria’, e ha difficoltà a essere nel presente; c’è sempre un futuro migliore che lo aspetta, e per poterlo realizzare non può legarsi stabilmente a niente e a nessuno; deve mantenersi libero e pronto. Nessun legame dunque, nessun peso da portare; leggerezza per poter ascendere il più in alto possibile, lontano dalla banalità della terra e dalla vita normale. Non è un caso, infatti, che tra gli sport preferiti dal Puer  ci siano il volo e l’alpinismo, e che, in genere,  il Puer non ami quegli sport che richiedono pazienza, attesa o lungo allenamento.
     Tuttavia, come ho anticipato, il Puer non è affatto privo di positività. “La qualità positiva di simili giovani -scrive ancora Von Franz- si esprime in una sorta di spiritualità, determinata da un contatto relativamente stretto con l’inconscio collettivo. Il Puer Aeternus è di solito un interlocutore assai piacevole, i suoi argomenti sono spesso interessanti ed entusiasmano l’ascoltatore. Non ama le situazioni convenzionali; pone domande profonde e mira dritto alla verità, […] e il fascino giovanile del Puer Aeternus si protrae in genere negli stadi successivi della vita.” (ib.).
     Nel campo lavorativo, quando il lavoro lo coinvolge, lo affascina, o lo entusiasma, è capace di lavorare a lungo senza stancarsi; è portatore di idee nuove e di nuove soluzioni, è attivo e creativo. Ma guai se il lavoro è per lui noioso e ripetitivo, o se è necessario un surplus di impegno: in quel caso, prima di fuggire, tende sovente a esprimere il suo lato depresso e insoddisfatto, apparentemente distaccato.
     Come si vede, l’archetipo Puer non sfugge al suo carattere di dualità; e a una prima osservazione sembrerebbe essere esentato, quantomeno sul piano teoretico,  da una netta suddivisione in poli. Infatti il Puer non sembrerebbe “buono o cattivo”, “attivo o passivo”, oppure, più in generale, “positivo o negativo”, ma essere nel contempo una cosa e un’altra, contenere in sé una duplicità;  essere, con la bella metafora  di Jung: “[...] contemporaneamente la luminosa innocenza degli inizi e la gelata che improvvisamente distrugge quei germogli […] un essere dell’inizio, ma anche un essere della fine.” (Jung, op. cit.)
     Ma questo suo ’essere ‘duale’, però, non può non contenere in sé la possibilità di essere anche “polare”. J. Hillman ci ricorda che “[...] la psicologia analitica intesa come campo strutturato del sapere poggia la sua struttura su una serie di descrizioni polari”. (Hillman, 1964/67) Vale aggiungere, per parte nostra, che la psiche è suddivisa in coscienza e inconscio, fra i quali vi è tensione e compensazione; e che essa, dal punto di vista dell’energia psichica, fluisce tra due polarità, caratterizzate a loro volta da coppie di opposti (ad es.:progressione/regressione) . Anche nella descrizione dei “tipi” è evidente la polarità fra introversione ed estroversione, così come per le quattro funzioni psicologiche, che  sono descritte per coppie contrapposte. Gli scritti di Jung contengono temi ricorrenti espressi per antitesi: logos ed eros, razionale ed irrazionale, individuale e collettivo e, tema centrale, maschile e femminile (Animus/Anima), e così via.
     Per Hillman, (suo il volumetto “Puer Aeternus” [J. Hillman, ed. it. 1999] il cui titolo originale, “Senex and Puer” mi sembra più appropriato al contenuto) l’archetipo in sé è ambivalente e paradossale, abbraccia spirito e natura, psiche e materia, coscienza e inconscietà; in esso sì e no sono un unica cosa. Non c’è né giorno né notte, semmai un albeggiare continuo. Tuttavia, la ‘dualità’ dell’archetipo si rivela anche una ‘polarità in potenza’, un’opposizione implicita nell’archetipo stesso, il quale tende a scindersi in due poli quando entra nella coscienza egoica. Secondo Hillman, infatti, l’emergere dell’archetipo alla coscienza produrrebbe nello stesso una “polarità” e una “scissione”. L’Io, illuminandone una parte, renderebbe più oscura l’altra, e quel persistente albeggiare di cui si è detto più sopra si trasformerebbe in una separazione tra giorno e notte, tra luce e tenebra.
     Anche in quel caso, come in tutti i casi in cui esso sostituisce l’anima come centro della personalità conscia, “[…] l’Io finisce con il rivelarsi incapace di reggere la tensione fra gli opposti ed è costretto a creare disgiunzioni e separazioni” (Hillman. op. cit.). L’archetipo allora non si manifesta più soltanto nella sua funzione di unificatore degli opposti, in sintonia con l’anima, o di mediatore fra le basi inconsce e la coscienza, ma tende esso stesso a polarizzarsi e divenire contenitore di opposti, che rischiano di essere in sterile tensione fra loro. Una conseguenza di questa polarità è che, pur essendo entrambi i poli dell’archetipo necessari alla sua totalità, e in qualche modo equivalenti come ‘potenza’, diventa difficile evitare di connotarne positivamente l’uno e negativamente l’altro, tanto più se ci si mette di mezzo l’Io.
     Così come una montagna ha un versante a sud, esposto al sole, e un versante a nord in ombra, altrettanto al Puer si finisce con l’attribuire un lato luminoso e un lato oscuro. Allo stesso modo è quasi inevitabile considerare ‘positivo’ e ‘fecondo’ il lato luminoso, che corrisponde alle qualità e alle potenzialità, e ‘negativo’ e ‘sterile’ quel lato oscuro che corrisponde ai difetti e ai limiti. Tuttavia, questo non vuol dire che dobbiamo pensare che esistano due specie distinte e differenti di Puer, i “[…] Puer  ‘positivi’ che ispirano lo sbocciare delle cose, e i Puer ‘negativi’, caratterizzati essenzialmente dalla auto distruttività” (Romano, op. cit.), ma che dobbiamo accettare la tensione fra questi  due “poli”, entrambi parte dello stesso archetipo.
     Nonostante questo suggerimento alla prudenza, di fronte al Puer è tuttavia piuttosto difficile sottrarsi a una osservazione generale che non sia gravata da un giudizio tendenzialmente negativo sul “[…]giovinetto di belle speranze […], come lo chiama Romano, che non ce l’ ha fatta ad affrancarsi;  “[…] il figlio viziato a cui tutto riesce facile ma che non lascia testimonianza di sé.” (ib.)E sebbene lo stesso Jung, nel tratteggiare il carattere dell’archetipo Puer ne affermi tutta la “potenzialità”: “Il fanciullo è avvenire in potenza […]”, scrive; “[...] il fanciullo preannunci(a) un mutamento della personalità [...]anticipa il processo di individuazione […]”,  è “[...] simbolo unificatore degli opposti, un mediatore, un salvatore [...]” (Jung, op.cit.), a ben vedere, anche per lui, prima che per gli altri, tutta questa potenzialità non sembra mai esitare in un’azione concretamente produttiva, in un reale, fattivo cambiamento, in una vera crescita.
     Il Puer in fondo rimane un progetto, un’ipotesi che non vede mai il suo svolgersi compiuto, che, sì evolve verso l’autonomia,  ma senza mai raggiungerla. Un figlio, appunto, che richiederebbe costante cura, attenzione, educazione; un “[…]simbolo del desiderio, dell’anelito insaziabile che mai trova il suo oggetto, della nostalgia della madre perduta” (Romano. Op. cit.);  che “[…] non appena presa la rincorsa, si ferma […], un figlio che non si è liberato della madre e che perciò stenta a entrare nel mondo […] (ib.); e anche nel tempo e nello spazio, intrappolato com’è in quell’abbraccio confortante ma allo stesso tempo soffocante e mortale. E’il figlio della Grande Madre, che appena si allontana dal suo grembo cade preda della nostalgia e tende a farvi ritorno, per poi di nuovo allontanarsene, senza mai smettere di volgersi nuovamente e nostalgicamente indietro, in un processo che non ha mai fine. 
     Rispetto a questa visione tendenzialmente negativa del Puer, centrata sul rapporto con la Madre, Hillman  posa su questo archetipo uno sguardo molto più benevolo e sposta il centro delle sue riflessioni verso le funzioni positive proprie di questo archetipo. Inoltre tralascia in parte di affrontare il tema del rapporto con la Madre, caro ad altri autori, per concentrarsi di più  sul rapporto dialettico e di compensazione e integrazione con il  Senex/Padre. “Il concetto di Puer aeternus - scrive Hillman - si riferisce a quella dominante archetipica che personifica le potenze spirituali trascendenti dell’inconscio collettivo o è con esse in una relazione speciale. Le figure puer possono essere viste come manifestazioni dell’aspetto spirituale del Sé e gli impulsi puer come messaggi dello spirito o chiamate dello spirito.”(Hillman, op.cit.). Continua l’autore: “Lo spirito eterno è autosufficiente e contiene tutte le possibilità. Mentre il Senex si perfeziona attraverso il tempo, il Puer è perfetto primordialmente.” (Ib.) E aggiunge ancora: “[...] la figura del Puer è la visione della nostra natura prima, la nostra primordiale Ombra d’oro, la nostra affinità con la bellezza, la nostra essenza angelica come messaggera del divino, come messaggio divino” (ib.), perché “[...] Il Puer offre un contatto diretto con lo spirito [...] non è destinato a camminare, ma a volare.” (ib.)
     Come si vede, per Hillman il Puer parrebbe, per così dire ‘autoperfetto’ in sé ed avere anche un compito superiore da svolgere. Eppure, anche per il nostro autore, in fondo, il Puer non riesce a sfuggire totalmente ai suoi limiti intrinseci, al suo lato negativo. Essendo un ‘essere degli inizi’, non può evitare infatti a debolezza e impotenza proprie degli inizi; inoltre la unilateralità della sua azione verticale, la tendenza al volo e alla caduta, lo rendono debole sulla terra, perché “[...] il Puer non appartiene alla terra […]” e “[...] il mondo orizzontale, il continuum spazio-tempo che noi chiamiamo realtà non è il suo mondo.” (ib.). La velocità e la fretta gli fanno perdere il tempo presente; non conosce né l’attesa né la pazienza e di fronte alle difficoltà tende a rinunciare facilmente. Scrive  ancora Hillman: “Comprende poco dice ciò che si acquista con la ripetizione e la coerenza, vale a dire con il lavoro; non comprende il movimento avanti e indietro, da destra a sinistra, dentro e fuori, che favorisce la sagacia nel procedere passo-passo attraverso la labirintica complessità del mondo orizzontale.” (ib.).  Inoltre quello che egli definisce come “il necessario rapporto” del Puer  con lo Spirito viene ostacolato dal complesso materno, che può paralizzare e soffocare il Puer archetipico. E’ il rapporto con la madre, la Grande Madre castrante e incestuosa, che lo intrappola e lo tiene legato con un filo apparentemente invisibile ma resistentissimo, che gli impedisce di staccarsi da lei e di consegnarsi al mondo.
     Insomma, a onta di tutte le sue qualità e potenzialità, anche per Hillman quando il Puer va da solo, pur volendo andare dappertutto non va da nessuna parte e cade preda del suo lato “negativo”.
     Come può allora entrare nel mondo e nel tempo ed esprimere tutte le sue potenzialità? Secondo Hillman, perché ciò possa realizzarsi il Puer ha bisogno dell’incontro con il  Senex, che è principio dell’ordine, della temporalità, del limite e del confine. Ma, sia chiaro, anche il Senex ha bisogno dell’incontro con il Puer,  che è principio del movimento, dell’ascesa e della proiezione oltre il limite. Come il Puer, anche il Senex è duale e tende alla polarità e se viene, per così dire ‘lasciato solo’ dal Puer finisce inevitabilmente con il soggiacere al dominio del suo lato negativo.  Ecco così che possiamo intravedere le premesse del concetto ‘hillmaniano’ di “Archetipo bifronte”: Puer e Senex non possono andare da soli, ma devono sostenersi a vicenda all’interno di un archetipo composito, il “Puer et Senex”.
     Soffermandoci per un momento sul Senex, vale ricordare che anch’esso è duplice, e che nella sua duplicità/polarità - costitutiva anche del Puer -  questo archetipo è sì freddo, lento e pesante, ma va detto che, nel contempo, questa pesantezza gli fornisce anche densità e stabilità; la sua lentezza è certo tristezza e melanconia, ma anche quiete e riflessione; è la notte che annuncia il giorno. Come il Puer è sessualmente potente (ma ricordiamo che lo è tendenzialmente fuori dalla relazione amorosa), così il Senex è arido e impotente; ma  poiché appartiene a Saturno è contemporaneamente anche dio della terra e della fertilità; è colui che raccoglie  i frutti, ma che anche ne fa anche incetta;  che tende a conservare le cose, ma sovente soltanto per sé; e tende a farle durare per sempre. E’ vero che batte moneta ed è signore della ricchezza, ma è anche avaro e rapace; e poiché è divoratore di ogni cosa nuova, di ogni cosa che nasce è anche, alla fine, sterile. Moralmente è altrettanto bifronte: è onesto e leale, ma anche egoista, crudele ed astuto. E’ il Vecchio Saggio buono e comprensivo che capisce e sostiene e dà buoni consigli,  ma anche il Vecchio Re, freddo, crudele  e vendicativo che  intimorisce ed annichilisce. E’ Padre Buono e Padre Cattivo. Anche il Senex, così il Puer, se separato dall’altra metà dell’archetipo bifronte, vede scomparire ogni possibilità di luce e cade preda del suo lato negativo; può scivolare nel buio della depressione e della malinconia e diventare totalmente sterile e impotente, pesante ed immobile.
     Entrambi gli archetipi hanno dunque bisogno l’uno dell’altro per non finire preda dei propri aspetti negativi; e quando questo accade, (e cioè quando cadono preda dei rispettivi aspetti negativi) essi allora non si scoprono più soltanto diversi e polari ma anche ‘uguali’, e si manifesta fra loro una parziale identità, una sorta di identificazione al negativo. Se il Senex non vuol cambiare, il Puer è incapace di cambiare; se il Senex è sordo, il Puer non vuol sentire; entrambi sono capaci di mentire e possono essere freddi e aridi.  In modo diverso, sia l’uno che l’altro sono sterili,  entrambi chiusi in sé stessi, poiché l’uno, il Senex, si isola e l’altro, il Puer, come dice Romano: “[…] non fa volentieri amicizia.” (Romano, op.cit.). Entrambi sono reietti e vicini alla morte: il Puer, nel suo lato negativo è suicida e il Senex autodistruttivo. Entrambi evidenziano, anche se in forme diverse, l’assenza del femminile.
     Ciascuno dei due senza l’altro sembrerebbe perduto: il Puer, preda della sua inconsistenza e della sua inconcludenza, non si liberererebbe mai dalla Madre e non realizzerebbe mai compiutamente l’incontro con il Padre-Senex-Spirito; il Senex, per parte sua, si inaridirebbe e, sterile e freddo, coverebbe  rimpianti e rancori, scivolando nell’inerzia. Ciascuno dei due archetipi esprimerebbe, se così si può dire ‘il peggio di sé’.
     Essi sembrano dunque necessari l’uno all’altro. Ma il loro essere reciprocamente ‘necessari’ non significa che siano soltanto, come siamo abituati a pensare, semplicemente l’uno l’Ombra dell’altro, ma qualcosa di più: “[...] una segreta identità tra due metà, due metà non della vita, ma di un unico archetipo […]” (Hillman, op.cit.); ciascuno, dunque, una parte dell’archetipo bifronte “Puer et Senex”.
     Per questa ragione la scissione e la mancata ricomposizione/integrazione delle due polarità all’interno di questo archetipo composito (o bifronte)  sarebbero all’origine dell’annichilimento delle potenzialità positive insite in entrambi i singoli archetipi Puer e Senex, e del conseguente predominio dei loro rispettivi aspetti negativi. Il Puer ha dunque bisogno del Senex per non cadere nell’inconsistenza e nell’inconcludenza, e il Senex ha bisogno del Puer per non insterilirsi e per non fermarsi irrimediabilmente. Il figlio ha bisogno del padre e il padre del figlio, il discepolo del maestro e il maestro del discepolo. Il Puer senza il Senex fatica a entrare nella storia; il Senex  ha bisogno del Puer per non essere soltanto storia.
     Nella visione di Hillman la congiunzione feconda delle polarità scisse  dell’archetipo Puer/Senex permetterebbe di esperire tutte le potenzialità positive di entrambi i singoli  archetipi e di superare, nel contempo, le loro reciproche, intrinseche contraddizioni.

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